Friday, January 30, 2009

From My Personal Library: L' ANGOLO DEGLI ACQUISTI 2009 - PRIMA PARTE

A voler dire tutta la verità, in questa prima parte di acquisti 2009 ci sono parecchi libri comprati nel 2008 e siccome mi ero dimenticato di fare il post, li ho riuniti tutti qui...andiamo a vederli nel dettaglio



I primi due romanzi da cui è stata tratta una delle migliori serie tv degli ultimi anni. non c'è proprio bisogno di aggiungere altro credo ^__^



Finalmente sono riuscito a mettere le mie manine su questo libro che mi fu consigliato da dreca circa un secolo fa. Non ho mai letto niente di questo autore, vi farò sapere ^__*




La mia voglia di recuperare quanto scritto da McCarty si è concretizzata in un corposo volume che raccoglie tutta la Trilogia della Frontiera (Cavalli Selvaggi, Oltre il Confine, Città della Pianura) e naturalmente anche La Strada consigliatomi dal buon Chimy.



Il romanzo da cui è stato tratto quello che sarà per me, già lo so per certo, uno dei film da top ten nel 2009.

Thursday, January 29, 2009

CAMERA IS THE WHOLE THING

Alla fine degli anni '60 Night of the Living Dead di George Romero arrivava a scuotere il genere horror dalle fondamenta insieme a The Texas Chainsaw Massacre di Tob Hopper, altro film a suo modo rivoluzionario. Nel 2007, a distanza di quasi quarant' anni, Romero dirige la quinta pellicola dedicata alla sue creature "non morte" e di cose da dire sull' argomento sembra averne ancora molte. Con Diary of the Dead, questo il titolo del film, Romero riparte dal principio e racconta "l' inizio della fine" ambientandolo nei nostri giorni. In Night of the Living Dead i protagonisti erano isolati nel mezzo del nulla e come unico contatto con il mondo, una vecchia radio. Oggi i mezzi di comunicazione si sono moltiplicati, così come sono molteplici le vie per ottenere informazioni. Quello che un tempo era solo il pubblico, grazie a telefonini, videocamere, Youtube e quant'altro, ora è protagonista diretto, regista della realtà mentre avviene. Conscio di questa "responsabilità" Jason, studente di cinema dell' università di Pittsburg, decide di documentare con la sua videocamera gli avvenimenti di quei giorni e di uploadare direttamente sul web le sue immagini, bypassando la censura accomodante dei media tradizionali, dando alla gente il senso di ciò che sta succedendo. In Diary of The Dead assistiamo alle immagini del finto documentario di Jason, The Dead of the Dead, introdotti dalla voice-over di Deb, la sua fidanzata, che si è occupata di montare e musicare il filmato per renderlo, a suo dire, ancora più pauroso. Quel che emerge dalle immagini, quello che Romero vuole portare alla nostra attenzione, è che per quanto si provi ad immortalare la realtà si finisce per distaccarsi inevitabilmente da essa: Jason sparisce lentamente dietro la telecamera, non riuscendo più a separarsene e diventando un osservatore esterno e super partes di quanto accade intorno a lui e a i suoi amici. Solo quello che finisce all' interno dell' occhio/obiettivo è reale, quello che avviene fuoricampo semplicemente non esiste. Romero attacca i mezzi di informazione, tanto quelli più classici che quelli più moderni, sottolineando la necessità di una maggiore responsabilizzazione nel loro utilizzo per evitare la "disumanizzazione" di chi l'informazione la fa e di chi la riceve ("quando incrociamo un incidente non ci fermiamo ad aiutare ma ad osservare"). Riflessioni e forma coincidono parzialmente con Cloverfield anche se in Diary of the Dead, forse per l'espediente del filmato arrangiato in post produzione, il risultato è meno d'impatto rispetto alle riprese finto-amatoriali del film di Matt Reeves, forse perchè Romero non riesce a rendersi "invisibile" e la regia appare fin troppo pilotata. Indubbiamente il film meno "zombi" della saga, anche se alcune sequenze ci ricordano chi c'è dietro la macchina da presa (l' assedio nel granaio o la breve sequenza nella piscina), dove l' equilibrio fra critica e horror forse risulta un po più sbilanciato verso la prima, senza pregiudicare per questo la riuscita della pellicola.

Wednesday, January 28, 2009

Calci in faccia dalla città della violenza

Tae-su, poliziotto dell' anticrimine di Seul, torna nella sua città natale dopo quasi dieci anni. Il suo rientro purtroppo non avviene nelle più felici delle occasioni visto che si trova a dare l'ultimo saluto all' amico di infanzia Wang-jae, probabilmente ucciso da un gruppo di teppistelli con i quali ha avuto una lite. La situazione in città è molto cambiata, le strade sono invase da bande giovanili e la criminalità sembra fuori controllo. Lo stesso Pil-ho, anche lui amico di vecchia data di Tae-su, sembra invischiato fino al collo in un brutto giro di estorsioni atte a portare via i terreni alla povera gente per trasformare una grossa area in zona turistica con tanto di casinò. Sospettando che lo strano omicidio di Wang-jae e la corsa al potere di Pil-ho possano essere in qualche modo collegate, decide di indagare insieme al giovane Dong-hwan, finendo per trovarsi contro tutta la malavita cittadina. Film come The City of Violence di Seung-wan Ryoo, rischiano sempre di andare a sbattere duramente contro l'indistruttibile muro del "già visto". Difficile infatti trovare nella sceneggiatura, alla quale lo stesso Ryoo collabora alla stesura, qualche elemento di novità. Eppure, questo essere a suo modo classico, rappresenta uno dei punti di forza del film: con un tocco malinconico il regista coreano racconta una storia di amicizia tra cinque adolescenti che purtroppo non sopravvive al passare del tempo. La malavita, la droga, rivalità, complessi di inferiorità, si mettono in mezzo e lacerano i rapporti fin quando ognuno prende la propria strada, chi quella buona, chi quella cattiva, fino alla resa dei conti finale dal sapore di amara vendetta. Insomma, come si diceva, una storia risaputa vista centinaia di volte ma valorizzata da una regia in grado di esaltare i momenti più cool del film, i frenetici combattimenti coreografati splendidamente da Jung Doo-Hong. Impossibile dimenticare di menzionare la sequenza della gigantesca (ma ordinata) rissa tra Tae-su e una variegata moltitudine di bande giovanili, omaggio piuttosto esplicito al grandissimo cult di Walter Hill, I Guerrieri della Notte (i membri di una delle bande sono addirittura vestiti in divisa da baseball, facce pitturate e la scritta "Warriors" nella maglia). Le due parti insomma si bilanciano bene, restituendo una pellicola che non è certo tra le migliori arrivate dalla Corea in questi anni, ma risultando comunque parecchio godibile.

Tuesday, January 27, 2009

"Once upon a time, I wanted to know what love was."

Quella tra Ben e Suzy è una storia d'amore come tante, finita male come tante. Convinto di non poterla rendere felice, di non poterle dare tutto il meglio a cui lei aspira, Ben decide di troncare la relazione. Da quel momento però non riesce più a dormire e più ci prova, più l'insonnia diventa forte così come le sue giornate diventano più lunghe. Come impegnare le otto ore di veglia in più senza che la sua mente conduca tutti i suoi pensieri verso Suzy? Leggere pare una soluzione solo temporanea perciò Ben decide di dedicare il suo tempo extra ad un lavoro e si fa assumere per il turno di notte in un supermercato. Proprio quando il tempo e il suo trascorrere assumono per lui nuovi significati, si accorge di possedere la straordinaria abilità di rallentarne il movimento fino a fermarlo del tutto a suo piacimento. "Che cos'è l'amore?" tra le pieghe del tempo Ben cerca la sua risposta. Mentre per le altre persone, per i suoi nuovi colleghi, lo scoccare dei secondi rappresenta soltanto l'infinito stillicidio che li separa dalla fine del loro turno lavorativo, Ben scopre l'importanza che riveste ogni attimo, perché ogni momento presente è diverso da quello precedente e da quello successivo. In questa assoluta immobilità ritrova l'amore per la pittura, una passione nata da bambino di fronte alle linee femminili di una studentessa svedese ospite a casa sua. Ben spoglia le ignare clienti del supermarket e cattura la bellezza delle curve dei loro corpi con carboncino e carta. L' amore si nasconde in questi attimi rubati alla frenesia della vita moderna, dove hai tutto il tempo di immortalare l'immagine della persona amata ma dove non puoi tenerla imprigionata per sempre perché il secondo seguente arriva prima o poi, è inevitabile. Sean Ellis trova nella dilatazione temporale anche la sua fortuna, trasformando il suo corto "Cashback" del 2004 in un lungometraggio che non perde in freschezza e originalità. Una commedia divertente (da lacrime la sequenza della partita di calcetto) che Ellis dirige con un piglio registico molto personale e ricercato (imperdibili i carrelli dove si "passa" dai ricordi al presente e viceversa), dove il "carpe diem" de L' Attimo Fuggente qui diventa un' invito a trattenerlo quell' attimo e a viverlo intensamente in ogni minima sfumatura. In quello dopo potresti già aver perso tutto.

Monday, January 26, 2009

Sentimenti, risate e tanta noia in CYBORG GIRL

22 novembre 2008. Jiro si appresta a festeggiare il suo compleanno in totale solitudine, rituale che si ripete anno dopo anno: si compra un regalo e poi va a cenare in ristorante. La sua mente però fa un balzo indietro ad un anno prima quello stesso giorno, quando incontra una misteriosa e bellissima ragazza che passa con lui il resto della serata. Jiro in cuor suo spera di rivederla anche quest' anno e il suo desiderio si avvera; la ragazza si presenta al ristorante, appare diversa, più fredda dell' anno prima ma soprattutto arriva giusto in tempo per salvarlo da un pazzo che si mette a sparare contro gli avventori presenti nel locale. Arrivati a casa la ragazza rivela a Jiro il suo segreto: trattasi infatti di un cyborg da lui stesso costruito nel futuro, mandato indietro nel tempo per salvarlo da quella sparatoria che l'avrebbe reso disabile per il resto della vita. Ma lo scopo del cyborg è anche quello di salvare Jiro da una catastrofe imminente. Produzione giapponese, diretta dal coreano Kwak Jae-young, piuttosto conosciuto per le sue commedie romantiche, Cyborg Girl è un film che prova a travalicare il genere nel quale nasce cercando di aggrapparsi a quello fantascientifico e catastrofico con una presa, ainoi, non molto sicura. Partendo dal principio, Cyborg Girl è fondamentalmente un Jun-ai, al secolo "vero amore" genere che in Giappone spacca di brutto ma che raccoglie parecchi sostenitori anche dalle nostre parti: protagonista maschile indeciso se essere un idiota o un deficiente, protagonista femminile bella ma con un grande segreto che pregiudicherà a priori l'amore tra i due portando lacrime e tanta tristezza. Questi film sono fatti apposta per attrarre il pubblico come le api al miele ma, il progetto del regista coreano, qui anche in veste di seneggiatore, punta un po' troppo in alto finendo vittima delle sue stesse ambizioni. Kwak Jae-young pesca a piene mani dal Terminator di Cameron e dai più famosi disaster-movie hollywoodiani finendo così per ritrovarsi tra le mani una miscela tutt'altro che omogenea. Cyborg Girl da il suo meglio nella commedia finendo per scimmiottare generi che non gli appartengono quando gli elementi sci-fi si fanno più seriosi e riducendo la svolta drammatica, altro elemento fondamentale del genere jun-ai, ad una insostenibile spiegazione del paradosso temporale su cui si basa tutto il film. Insomma, due ore di visione di cui almeno venti minuti dedicati ad un finale tirato all' inverosimile con tanto di happy ending il cui unico effetto è quello di far si che il pubblico ringrazi per la comparsa dei titoli di coda.

Sunday, January 25, 2009

Lyric of the Week + Video / THE LONELY ISLAND - JUST 2 GUYZ

**Un antipasto prima del nuovo video "We Like Sportz"**


"Hello, welcome to the party"
"Hi, I've never met you before."
"I know."

Just 2 guys and we're having a good time
(Having a good time, having a good time)
Just 2 guys and we're having a good time
(Having a good time, having a good time)

We'll burn the roof off
This party's going off
You think that we're soft?
You get tossed

Guy Number One
I love to dance
My fancy feet moves putting you in a TRANCE

It's a friend thing,
Friends are everytwhere!
In the kitchen, the den
Hanging out on the stairs!

Spinach dip
Real hot chicks
Spike the punch and take a sip

Guy Number Two
Come to chill with you
P-A-R-T-WHY ?
Cause we got to!

I like playing games in the pool
Who invited Steve? That dude's a cunt! *

Just 2 guys who are having a good time
(Having a good time, having a good time)
Just 2 guys who are having a good time
(Having a good time, having a good time)

Now everyone in the house say Guy Number One
("Guy Number One!")
Now everyone in the house say Guy Number Two
("Guy Number Two!")

Dude, quit tripping
You're ruining my high
My loaded gun makes you reach for the sky
There's a knock at the door
Who could that be?
Why won't the cops let our party be?

How would you like to be.. shot?
Me and my friend.. smoke pot
No jocks No jerks
Just fun with girls
Having fun Guy One?
"The most fun in the world!"

We're just 2 guys who are having a good time
(Having a good time, having a good time)
We're just 2 guys who are having a good time
(Having a good time, having a good time)

We're just 2 guys who are having a good time
(Having a good time, having a good time)
Just 2 guys who are having a good time
(Having a good time, having a good time)

Party over here
Party over here
Party over here
PARTY OVER HERE

* = l' espressione di "Steve" è impagabile ^__^

Friday, January 23, 2009

CALIFORNICATION - SEASON 02 -

TITOLO ORIGINALE: CALIFORNICATION
TITOLO ITALIANO: CALIFORNICATION
NUMERO EPISODI: 12

-TRAMA-
Hank Moody, ancora allergico alla sua nuova vita californiana, cerca di tenere insieme il suo ritrovato nucleo familiare mentre all' orizzonte si affaccia una possibilità lavorativa: scrivere la biografia di un famosissimo produttore musicale.

-COMMENTO-
La seconda stagione di Californication partiva già con un enorme svantaggio sulle spalle, quel fattore "novità" che ha reso grande la prima serie e che, come era prevedibile, non si ritrova in queste nuove dodici puntate.
Altra considerazione molto importante da fare, riguarda il finale della prima stagione che personalmente non avevo proprio gradito in quanto poco in linea con la serie. Evidentemente non sono stato l'unico a pensarla così, tant'è che nel giro di poche puntate si corre ai ripari restituendo al buon Hank il suo personalissimo "status" con il quale abbiamo imparato a conoscerlo e ad amarlo (mi si perdoni questo tono vago ma vorrei evitare il più possibile qualche spoiler).
Ma quel che penalizza questa seconda stagione è il non avere un filo conduttore preciso e solido per i dodici episodi che appaiono infatti un po' troppo slegati. Pensavo che la biografia di Ashby potesse aver un effetto collante più decisivo, invece rimane quasi sempre in sottofondo così come le riflessioni da scrittore in crisi nell' era dei blog, che tanto avevo apprezzato nella prima serie, qui scompaiono del tutto.
Lo stesso Ashby sembrava un personaggio importante ma incide sulla vita sentimentale e personale di Hank in maniera troppo repentina come in maniera troppo repentina gli sceneggiatori se ne liberano.
Adesso, al di la delle critiche, non voglio dire che la seconda stagione di Californication sia da buttare perché non è assolutamente così. La serie continua a divertire, si guarda senza impegno e senza che mai ci si annoi (il merito è quasi sempre di Duchovny comunque) ma gli manca quel qual cosa che ha reso imperdibile la prima stagione e che si spera venga ritrovato nella terza,perché proseguire per inerzia non ha molto senso alla fine.

-DVD-
Nessun cofanetto della seconda stagione disponibile al momento.

Thursday, January 22, 2009

Sette Anime OVVERO dell' insostenibile sfacciataggine

A muovere una critica negativa a Sette Anime, per quanto giustificata, giustificabile e articolata possa essere, si corre sempre il rischio di essere additati come "anti-mucciniani" e cioè di quelle persone che nutrono personale antipatia verso il regista italiano e non possono fare a meno di parlarne male. Per non menzionare poi della marchiatura a fuoco "cinici senza cuore" se si prova a mettere in discussione una storia altamente drammatica traboccante di sentimenti come questa. Ma qui c'è veramente poco da essere anti-mucciniani o cinici, qui c'è solo da giudicare Sette Anime con la massima obiettività possibile o almeno provare a mettere da parte quella sensazione di essere stati resi in giro che ti investe a fine visione. Certo è che, Muccino, la sua America l'ha trovata: il suo primo film oltreoceano, quel La ricerca della Felicità così "non male" ma anche così "dimenticabile", gli ha sicuramente spianato una strada importante, asfaltata poi dal sodalizio con la superstar hollywoodiana Will Smith che accompagna il nostro Gabriele anche nella sua seconda sortita cinematografica made in USA. Accantonata la rincorsa e la realizzazione del Sogno Americano, il regista italiano si butta a capofitto in una storia marcatamente più triste e pesante: il protagonista, un presunto esattore del IRS (la controparte americana dell' Agenzia delle Entrate) di nome Ben Thomas, sembra in grado di poter radicalmente cambiare la vita a sette persone che lui sta personalmente selezionando per trovare quelle più meritevoli. Questo gesto non è dettato solo da profondo altruismo ma dalla necessità di espiare una colpa che si porta dentro da tanto tempo. Sette Anime è un film che non nasconde le sue intenzioni perciò neanche io la tirerò tanto per le lunghe nell' esprimere il mio giudizio: il film di Muccino è indifendibile. Indifendibile perché disonesto. Ma quello che fa veramente rabbia è che sia sfacciatamente disonesto e subdolo nel voler a tutti i costi richiamare le lacrime, insistendo sul dolore dei protagonisti, su gli occhi lucidi di Will Smith, sul far aleggiare per tutto il film il peso di una tragedia telefonata fin dai primissimi minuti. E si perché, svelare indirettamente al pubblico la direzione che il film prenderà nei primi venti minuti, per poi trascinarsi verso la fine nei successivi cento, non è sintomo di piattezza sceneggiativa (ma anche si) quanto un' altro indice di quella disonestà di cui si parlava prima. La tragedia annunciata ad inizio film serve a creare un grosso carico emotivo negli spettatori che, unito al senso d' attesa per l'inevitabile, funge da amplificatore drammatico in un finale sul quale è meglio stendere un velo pietoso per evitare di tirare in ballo alcune situazioni al limite del ridicolo (le cubomeduse...santo Dio, le cubomeduse!!!). Non nego che il film possa piacere, a qualcuno è sicuramente piaciuto, ad altri piacerà. Io non mi riconosco in questo cinema, non riesco ad empatizzare con un personaggio come Ben Thomas per quanto positivo possa essere, non mi piace la sensazione che provo guardando un film così: è come un attacco di diarrea quando sei in fila alla posta e stanno per chiamare il tuo numero. Vorresti scappare a casa ma ormai ci sei, stringi i denti e tiri avanti. Tanto per dare un' idea del fastidio.

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Wednesday, January 21, 2009

Tuesday, January 20, 2009

Soffio di vita

Amore e morte. Piacere e sofferenza.
Elementi che ritornano nel cinema di Kim Ki-duk quasi come se nella sua personale visione essi siano complementari nei difficili rapporti interpersonali e che, negli assurdi equilibri che la vita pretende non ci possa essere l'uno senza l'altro. Era così nei suoi film precedenti, è cosi anche in Soom (Soffio).
I due protagonisti principali di questa storia, per quanto possano apparire agli opposti, sono in realtà più simili di quel che sembra e le loro vita quasi simmetriche: sono a loro modo due prigionieri anche se le prigioni che li contengono sono molto diverse. Yeon è prigioniera (volontaria) in una grande casa dall' aspetto freddo che si affaccia all' esterno con delle piccole finestre che assomigliano più a delle feritoie. Madre, moglie tradita, trasforma il suo dolore in sculture (l'angelo con il petto lacerato).
Jin è recluso nel braccio della morte. Si consola con l' affetto di un giovane compagno di cella, un amore nato per necessita più che da veri sentimenti. La sua situazione l' ha portato a perdere la voglia di vivere e a tentare il suicidio diverse volte.
Venuta a conoscenza attraverso il TG dell' ultimo tentativo di Jin di togliersi la vita, Yeon decide di uscire dalla sua prigione per aiutarlo. L' anonimo parlatorio del carcere diventa, per mano di Yeon, finestra sulla vita fuori da quelle mura dove lo scorrere del tempo ha ancora significato. Ma è anche una finestra sulla vita stessa di Yeon che attraverso poster, fiori, musica e fotografie porta a Jin lo scorrere delle stagioni (ciclicità che ritorna come in Primavera, Estate, Autunno, Inverno e ancora Primavera) e per ognuna un ricordo che parte dall' infanzia/primavera fino ad arrivare all' autunno/età adulta. L' amore che nasce, incontro dopo incontro, ha una forza salvifica per Jin, gli restituisce quel "soffio" (che forse sarebbe stato meglio tradurre "respiro") di vita che aveva perduto, che comunque presto gli sarà tolto e Yeon, con un ultimo bacio soffocante, sembra quasi volerlo preparare a quel momento.
Kim Ki-duk riveste per l'occasione il doppio ruolo di regista e di direttore del carcere: guida gli attori nella scena e pilota (decidendo l'inizio e la fina delle visite) il sentimento che nasce tra Yeon e Jin, sentimento che toccherà anche le persone a loro collaterali. Il marito di Yeon, cercherà di recuperare il rapporto con la moglie. Il giovane compagno di cella, folle di gelosia, stringerà Jin in un abbraccio mortale al quale l'uomo non si sottrae forse per rivivere ancora una volta l'ultima sensazione regalatagli da Yeon.
Un momento altamente drammatico e di forte impatto emotivo che contrasta con la ritrovata serenità familiare di Yeon ma che ben si inserisce nella poetica del regista sud coreano. E proprio in chiusura, Kim sceglie di far "rotolare" fuori dalla scena gli altri due compagni di cella, lasciando ai due uomini un ultimo straziante momento d' intimità. Amore e morte, ancora una volta, a chiudere il cerchio.

Monday, January 19, 2009

Tartarughe, spie e la follia di Miki Satoshi

Un piccolo ma accogliente e coloratissimo appartamento,un diario di dimensioni impressionanti, non rispecchiano certo le piatta e noiosa vita della giovane casalinga Suzume. Una vita vissuta fin da neonata all' ombra dell' amica Kujaku (sono anche nate lo stesso giorno) da sempre capace di riuscire in tutto ciò che fa e di ottenere il massimo da ogni situazione che le si presenta. Suzume invece si è sempre accontentata e adesso conduce un' esistenza quasi invisibile e si ritrova, sposata con un uomo che lavora all' estero e non vede praticamente mai, a dover badare alla casa e a dar mangiare alla loro tartaruga che è anche l' unico argomento di conversazione telefonica con il marito. Un giorno, in maniera del tutto accidentale, incappa in un minuscolo e misterioso volantino che invita a chiamare il numero scritto sopra se si desidera diventare delle spie. Guidata soprattutto dalla curiosità per qualcosa che entra nella sua vita a spezzare la solita routine, Suzune chiama il numero e conosce così una stramba coppia, entrambi spie, che le insegnano come diventare un' esperto agente segreto. Ho avuto il piacere di conoscere Miki Satoshi (il suo cinema e lui personalmente) al Far East Film Festival 10 dove sono stati proiettati ben tre dei suoi cinque film. Regista televisivo passato al cinema solo qualche anno fa, ha finora basato la sua filmografia su sceneggiature (da lui stesso scritte) molto particolari, al limite dell' assurdo si potrebbe anche dire, caratterizzate da una comicità di pura matrice nipponica che va dal demenziale al surreale. Proprio l'elemento comico, usato spesso in maniera esagerata o del tutto fuori contesto, unito ad una scrittura un po' traballante, sono i principali limiti del cinema di Miki Satoshi (come dimostra il pessimo Deathfix) che sembra aver comunque trovato il giusto equilibro nel suo ultimo e meraviglioso Adrift in Tokyo. Kame Wa Igai To Hayaku Oyogu (Turtles Swim Faster Than Expected) suo secondo lungometraggio uscito lo stesso anno di In The Pool, presenta questi difetti ma risulta comunque una gradevole visione anche grazie alla splendida interpretazione della bella Juri Ueno. L' elemento esterno, misterioso, eccitante ma soprattutto nuovo, che entra nella vita di Suzune e ne spezza la monotonia restituendogli la gioia nel fare le piccole cose di tutti i giorni, è anche "veicolo" del messaggio che il regista giapponese vuole portare alla nostra attenzione: un invito a non lasciare che la vita ci renda delle comparse trasparenti nell' attraversala, ma a prenderne le redini e a diventarne protagonisti, artefici del proprio destino e del proprio futuro nel bene e nel male.

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Sunday, January 18, 2009

Lyric of the Week + Video / EAGLES OF DEATH METAL - WANNA BE IN L.A.


I came to L.A. to be rock and roll,
Along the way I had to sell my soul,
I made some good friends that make me say,
I really wannabe in L.A.

I took the time to get to Beverly
Laid some rocket tape roll on the 180
Allen and Natasha always make me say,
I really wannabe in L.A.

I really wannabe in L.A.
I really wannabe in L.A.
I really wannabe in L.A.

I take the city in the dead of night
I'm burning gas until I feel alright
The sunset honeys always make me say
I really wannabe in L.A.

I came to L.A. to be rock and roll
Along the way I had to sell my soul
I made some good friends that make me say
I really wannabe in L.A.
I really wannabe in L.A.
I really wannabe, really wannabe, really wannabe in L.A.


**BONUS - VIDEO "PINS" VERSION**

Friday, January 16, 2009

"Sono solo una ragazza normale che odia se stessa"

Giusto il tempo di vedere il volto della protagonista riflesso sul vetro di un autobus che l'integrità del quadro si perde. L' immagine non va in pezzi ma si compone di pezzi, rendendo quasi esplicito il significato del titolo del film "The Tracey Fragments", i frammenti di Tracey. Schegge impazzite, taglienti come vetro, pesanti come macigni, troppo pesanti perché la fragilità di un' adolescente possa contenerle. E Tracey se ne sta li, seduta sul retro di un bus, avvolta con una tendina da doccia alla disperata ricerca del suo fratellino scomparso. Guarda in macchina, dritto verso di noi, sostiene lo sguardo forse per la prima volta nella sua breve vita, nella quale i suoi occhi hanno sempre puntato verso il suolo. Ci guarda e la sua vita comincia a venire fuori pezzo per pezzo, un accumularsi di realtà e finzione, bugie e verità, senza seguire una logica apparente che si manifesterà pian piano mentre ogni frammento troverà la propria collocazione. Un mosaico di ricordi, emozioni, sogni, desideri, colpe, che andranno infine a definire la figura di una quindicenne problematica, figlia della società dell' apparenza e perciò oggetto di derisione e vessazioni in un ambiente scolastico dove il suo aspetto mascolino, la sua mancanza di forme femminili, sono motivi di emarginazione. A casa, se si esclude il profondo affetto per il fratellino minore Sonny, la situazione non è certo migliore anche perché i suoi genitori preferiscono affrontare gli "incomprensibili" disagi di un adolescente lasciando tutto in mano ad uno psicologo. Ma Tracey non è forse una ragazza come tutte le altre? Anche lei ha i suoi sogni, l'ideale romantico del principe azzurro che la prenda e la porti via da quell' incubo. Sogni che alimentano fantasie. Fantasie che si sostituiscono alla realtà. Una realtà che quando chiede il conto ti lascia con il culo per terra a convivere con quello che ti è rimasto. E a Tracy rimane solo un gigantesco senso di colpa con il quale non riesce a convivere. Per rappresentare visivamente i frammenti di Tracey, il regista Bruce McDonald sceglie un percorso quasi sperimentale portando all' estremo la tecnica dello split-screen: le immagini si spezzano, si incastrano, si sovrappongono, si confondono, così come si confondono e sovrappongono i piani temporali del racconto. Un caleidoscopio estenuante ma che ben riesce a rappresentare il disagio e la confusione adolescenziale, la difficoltà nell' accettare se stessi, nel darsi una "forma" nella quale potersi riconoscere. Obiettivo che forse Tracey (una Ellen Page ENORME in un' altra interpretazione impressionante) raggiunge alla fine del suo peregrinare solitario, quando finalmente la sua immagine torna integra per la prima volta da chissà quanto tempo.

NOTE A MARGINE: si ringrazia Tob Waylan per la segnalazione ^__^


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Thursday, January 15, 2009

"Non volevano giocare con noi..."

Guardare Them dopo The Strangers, mi ha fatto pensare di dover in qualche modo rivedere verso il basso il mio giudizio su quest' ultimo. Alla fine così non è stato perché, pur non brillando per originalità, The Strangers riesce comunque a camminare con le proprie gambe, anche se un po' claudicante dalla seconda metà in poi. Appurato che il film di Bertino non è un remake della pellicola dei francesi David Moreau e Xavier Palud, o almeno non un remake "ufficiale", le somiglianze sono tali da far venire qualche sospetto che i due film siano, magari non fratelli gemelli, ma almeno cugini di secondo grado.
Anche Them inizia avvisandoci che gli eventi narrati si basano su fatti realmente accaduti e dopo un tesissimo incipit, facciamo la conoscenza dei protagonisti della storia, Clementine e Lucas. Francesi d' origine, lei è un' insegnate, lui uno scrittore ed entrambi si trovano a Bucarest per lavoro. Vivono in una grande casa fuori città ma la loro tranquilla vita di coppia viene bruscamente interrotta una notte, quando subiscono l' "attacco" di alcuni misteriosi individui che cercano di entrare in casa.
La prima impressione che trasmette Them è quella di essere un film perfettamente equilibrato dove, la breve durata (neanche 80 minuti) si compensa con una straordinaria compattezza. Il merito va sicuramente ad una sceneggiatura che non divaga più del dovuto ed all' abilità della coppia di registi francesi di costruire la tensione e al riuscire a dosarla equamente per tutta la durata del film, lavorando in maniera impeccabile sulle ambientazioni: dove The Strangers si concentrava soprattutto sull' invasione domestica, e quindi sugli interni della villetta, qui la casa (esageratamente enorme per una coppia) svolge un ruolo principale ma non assoluto. Basti pensare all' ottima prima sequenza ambientata praticamente solo all' interno dell' abitacolo di un fuoristrada (da brividi), all' inseguimento nella foresta o il successivo all' interno della rete di cunicoli.
La minaccia è sconosciuta, anticipata da inquietanti rumori (ottimo l'uso del suono) e identificabile solo da rapide apparizioni di sagome scure o da semplici ombre. Alla fine verrà svelato chi sono i misteriosi assalitori ma questo non renderà la cosa meno inquietante.
In definitiva Them appare decisamente più riuscito del "cugino" americano per i motivi sopra elencati, ma soprattutto perché non si lascia andare mai a facili espedienti per spaventare ed ha il coraggio di portare lo spettatore ad un finale angosciante e per nulla consolatorio. Gli amanti dell' horror / thriller non chiedono di meglio.

Wednesday, January 14, 2009

SAW V...e non se ne vede ancora la fine...

Allora, vediamo di fare un po' di chiarezza: Jigsaw è morto. Amanda è morta. L' agente Strahm ha trovato i corpi nel loro nascondiglio ma ne è stato imprigionato all' interno dal Detective Hoffman divenuto l' unico erede dell' opera punitrice/salvatrice di Jigsaw. All' inizio di questo quinto film assistiamo all' ennesima vittima dei sadici giochi del nostro Enigmista, un ragazzo legato ad un tavolo con un pendolo affilato (che rimanda tanto al bellissimo racconto di Edgal Allan Poe) pronto a tagliarlo in due se non trova il coraggio di farsi schiacciare la mani da due morse. Dopo questa breve ma intensa parentesi gore l'azione si sposta nel nascondiglio su citato, mostrandoci come l' agente Straham riesce a salvarsi e come Hoffman allontani i sospetti su di lui risultando addirittura un eroe. Strahm però non crede che Hoffman sia pulito e decide di indagare sul suo conto nonostante il caso gli venga tolto. Nel frattempo altre cinque persone si trovano a dover affrontare l' ultimo macchinoso gioco di Jigsaw. Accettato ma non condiviso, il fatto che Saw abbia reso la serialità, con puntuale cadenza annuale, il suo principale marchio di fabbrica, mi viene da pensare che erano parecchi anni che una saga horror non raggiungeva il quinto capitolo. Lungi da me far sembrare questo un merito, sia ben chiaro, anche perché il caro John/Jigsaw, non può certo vantare il carisma di "mostri" sacri del genere come Freddy Krueger, Jason o Michael Mayers (giusto per citare i più famosi) ma soprattutto non appare una scelta furba far morire il protagonista al terzo film ed arrivare al quinto capitolo riempendo i vuoti narrativi lasciati in precedenza, portando avanti la storia a piccolissimi passi. Se da un lato si può premiare la volontà di dare maggiore coerenza alla moltitudine di incastri di cui la saga è composta, dall' altro si nota come questa "costruzione" che si va, film dopo film, a complicare sempre di più (diventando anche molto forzata), sia fragile quanto un castello di carte e costringa il pubblico a ricordarsi molto bene tutti i vari avvenimenti. In caso contrario, è bene che lo sappiate, si rischia seriamente di perdersi nella moltitudine di flasback che arrivano a coinvolgere anche la pellicola capostipite. Ancora più che nei film precedenti è impossibile non accostare la serialità di Saw a quelle delle serie TV (ormai manca solo un "previously on Saw" all'inizio dei film), innanzi tutto per la presenza di diversi attori provenienti da show televisivi (Julie Benz da Dexter, o Carlos Rota da 24) e poi per una regia ormai standardizzata, tanto che non si avverte più di tanto il cambio di testimone dietro la macchina da presa, da Darren Lynn Bousman a David Hackl. Non temano gli affezionati di Saw: diverse porte sono state lasciate aperte per far si che le avventure di Jigsaw tornino anche il prossimo anno (cosa avrà lasciato il vecchio John alla moglie in quella grossa scatola nera?). Più che una certezza è quasi una minaccia.

Tuesday, January 13, 2009

NEVE E SANGUE A STOCCOLMA

Secondo post dedicato al film di Tomas Alfredson (il primo qui) in occasione della sua uscita nelle sale italiane. Un nuovo post in cui ho cercato di ripulire i miei pensieri dall' entusiasmo che segui alla prima visione. Non credo di esserci riuscito comunque, e il giudizio sul film rimane invariato: meraviglioso. Grazie a chi avrà la pazienza di leggere anche queste righe.

Let The Right One In arriva anche in Italia, dopo il passaggio fuori concorso all' ultimo Festival di Torino, con il titolo "Lasciami Entrare" proprio come il romanzo di John Ajvide Lidqvist che qui cura anche la sceneggiatura. Fuorviante e profondamente errato affrontare la visione di questo film come se si trattasse di un horror convenzionale. Mai come in questo caso si tratta di una semplice etichetta, visto che Lasciami Entrare è più una cupa favola di amore e morte, ambigua e romantica al tempo stesso. L' amore tra un vampiro ed un essere umano può far pensare ad un prodotto che facilmente fa presa sul pubblico, visto anche il risalto recentemente dato a questa figura sia al cinema che in TV, ma quello di Alfredson non è un cinema che possiamo certo definire commerciale. La regia, quasi immobile, centellina i movimenti, si posa impalpabile sulla spoglia periferia di Stoccolma come la neve che ricopre ogni cosa. La storia è raccontata quasi sottovoce, i dialoghi sono essenziali, le immagini spesso esplicitano quello che le parole non arrivano a definire, come la natura enigmatica dei personaggi ad esempio. Oskar è quello più limpido in questo senso: ragazzo solo, riempie il vuoto di essere figlio di genitori separati e di studente vessato dai compagni di scuola, con un insana passione per i sanguinosi fatti di cronaca, sfogando la sua rabbia contro la corteccia di un albero. Anche Eli è per sua stessa natura sola, nonostante conviva con una persona adulta, forse il padre, ma non sarebbe strano se si trattasse di un amante, considerato che lei ha “dodici anni da tantissimo tempo”. Appare chiaro che per sopravvivere e allo stesso tempo rimanere nascosta, ha bisogno di un compagno e Oskar appare un candidato perfetto per assumere questo ruolo che il padre/amante non è più in grado di portare avanti. Una visione forse cinica ma che nulla toglie ad un profondissimo rapporto che comporta, da ambo le parti, assoluta devozione e totale dipendenza. Ma c’è anche qualcosa di incredibilmente poetico e struggente nella maniera in cui Alfredson racconta l’amore tra Eli e Oskar, del loro modo di comunicare che non ha bisogno di parole, di come l ‘alfabeto Morse diventa un linguaggio segreto per tenere il resto del mondo a distanza. Un amore platonico fatto di gesti dolcissimi (il dettaglio sulle due mani che si sfiorano o tutta la sequenza nella camera di Oskar) fino ad arrivare a quelli più disturbanti e inquietanti (il bacio "insanguinato" o la splendida scena finale in piscina). Come Oskar, che per la prima volta “lascia entrare” qualcuno nella sua vita fino alla sua parte più profonda e nascosta (“siamo simili io e te: tu uccideresti per vendetta, io uccido perché devo vivere”), anche noi rimaniamo rapiti da questa figura ambigua eppure così affascinante: il Male ci guarda con gli occhi grandi e profondi di una ragazzina di dodici anni e noi ricambiamo lo sguardo.

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Monday, January 12, 2009

Fuga dalla QUIET ROOM e dal MADAGASCAR

Chi ha avuto il piccolo piacere di vedere In The Pool di Miki Satoshi, sicuramente non avrà dimenticato la figura dell' eccentrico psicologo che prende in cura i tre personaggi principali del film. Sazuki Matsuo, questo il nome dell' attore, evidentemente ha messo di suo in quel personaggio perché questa personalità strampalata la si ritrova anche nel suo ultimo film "Welcome in The Quiet Room" di cui ha curato anche la sceneggiatura, adattata da un suo romanzo. Riscopriamo quindi un artista a tutto tondo in questa pellicola, guarda caso, ambientata in un istituto d' igiene mentale dove viene rinchiusa la protagonista, Asuka, dopo aver rischiato di morire per un pericoloso mix di pillole e alcol. In un rapido incipit scopriamo che Asuka è una scrittrice affermata che lavora per un giornale. La sua vita sempre di corsa subisce un improvviso stop quando si risveglia, immobilizzata ad un lettino, in quella che scoprirà essere una "quiet room", dove vengono tenuti i pazienti particolarmente agitati o quelli con tendenze suicide. Oltre ad essere una zone di restrizione, la quiet room rappresenta anche una zona neutra per la protagonista, tra un passato doloroso da esorcizzare e un presente con il quale convivere, per trovare nel mezzo una via per il futuro, per una vita nuova. Per raccontare questa storia così particolare, Sazuki utilizza sia il registro comico (che oscilla tra il demenziale ed il grottesco) che quello drammatico, magari non riuscendo ad amalgamarli sempre in maniera fluida ma regalandoci comunque qualche deriva onirica/surreale veramente azzeccata. Forse qualche passaggio risulta tirato un po' per i capelli ma bisogna dare atto al regista di aver messo su una storia ricca di personaggi folli (e non tutti dentro l'ospedale psichiatrico) tra i quali è impossibile non citare la dottoressa con fattezze maschili ma voce femminile e i due splendidi cameo di Hideaki Anno e Shinya Tsukamoto.

Per affrontare il discorso Madagascar 2 vorrei, se fosse possibile, evitare quello ben più complesso de "è meglio la Dreamwork o la Pixar?" anche se le mie preferenze ricadono sicuramente sulla seconda. Il fatto è che la casa di papà di Spielberg ha fatto di una certa comicità e di un certo citazionismo cinefilo, in grado di catturare sia i bambini che gli adulti, il suo marchio di fabbrica, preferendo quindi volare basso e sicuro senza mai sfiorare la profondità dei titoli Pixar. Sarà per questo che mi vengono gli occhi lucidi ancora oggi pensando a WALL-E, mentre ben poco mi è rimasto dei seguiti di Shrek o del primo Madagascar ad eccezion fatta per gli splendidi pinguini, forse tra i personaggi più riusciti in campo animato degli ultimi anni. Ed è inutile dire che anche in Madagascar 2 la fanno loro la parte del leone nonostante sia proprio il leone Alex il vero protagonista. Dopo un breve flashback dedicato al felino ballerino, ritroviamo Alex, Martin, Melman e Gloria in un rocambolesco tentativo, organizzato dagli efficientissimi pinguini, di far decollare un vecchio rottame d'aereo e poter così finalmente lasciare il Madagascar. L' operazione sembra avere successo ma la benzina finisce ben prima di New York e i nostri precipitano nel cuore dell' Africa. Ritorno a casa, riscoperta delle proprie origini, sono forse i due argomenti principali del film, trattati con estrema leggerezza ed in fondo è anche giusto così. Il film non tenta neanche un briciolo di approfondimento e preferisce intrattenere e divertire riuscendoci in maniera piuttosto semplice. Ancora una volta i personaggi principali vengono messi in secondo piano quando i pinguini entrano in scena e va a loro il premio per la miglior sequenza del film che li vede confrontasi contro un "sindacato lavoratori" per scimmie. Memorabile. So già che presto mi sarò scordato tutto il resto.

Sunday, January 11, 2009

Lyric of the Week + Video / THE VERVE - RATHER BE

**UH UH UH! Nuovo singolo!**


There’s no need for introductions
No dark corridors and fame
You’ll find your fortune
You might find some pain
I wanna lie, lie together
Feels like our last embrace
In a world full of confusion
Yeah, human race

But I’d rather be here than be anywhere
Is there anywhere better than here?
You know these feelings I’ve found they are oh so rare
Is there anywhere better than here?

Sometimes life seems to tear us apart
Don’t wanna let you go
Sometimes these feelings hidden
I start to cry
Cause I won’t ever let you go

Mmm… Multiplying

Always livin’ under some vow
Always on the eve of destruction
Make you wanna scream out loud
and as I watch the birds soar
Amount of lies of which you spun
O mmm, while I’m still crying
Oh another day is come

Cause i’d rather be than be anywhere
Ss there anywhere better than here?
You know these feelings I’ve found they are oh so rare
Is there anywhere better than here?

Sometimes life seems to tear us apart
Don’t wanna let you go
Sometimes these feelings hidden
I start to cry
Cause I won’t ever let you go

But I’d rather be here than be anywhere
Ss there anywhere better than here?
You know these feelings I’ve found they are oh so rare
Is there anywhere better than here?

Friday, January 09, 2009

CLASSIFICA FILM 2008

Non avrei mai stilato questa classifica se non fosse servita per la Playlist 2008 de Il Barone del Male (a proposito, andate a vedervi i tre titoli sul podio) ma visto che l'ho fatta tanto vale pubblicarla anche qui. Si noteranno differenze dalla mia precedentemente, relativa alla stagione 2007/2008, primo perché molti titoli non possono rientrarci e secondo perché, avendo praticamente visto tutti i film una seconda volta, alcune posizioni sono dovute per forza di cose cambiare. Non citerò neanche i titoli che sono rimasti esclusi perché erano sicuramente meritevoli e non è stato facile tenerli fuori. La parola alle locandine:

1.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

8.

9.

10.

Thursday, January 08, 2009

DEXTER - SEASON 03 -

TITOLO ORIGINALE: DEXTER
TITOLO ITALIANO: DEXTER
NUMERO EPISODI: 12

-TRAMA-
Dopo aver portato a galla tutte le ombre del suo defunto padre, Dexter non è più intenzionato a seguirne il "codice" ma a farne uno tutto suo. Un omicidio per nulla previsto lo porterà a stringere amicizia con il Vice procuratore di Miami e a scatenare la brutalità di un assassino soprannominato lo "Scorticatore".

-COMMENTO-
La splendida Miami, soleggiata, multietnica, luogo dove anche gli insospettabili hanno una seconda faccia che vogliono tenere nascosta, è per la terza volta teatro delle avventure del serial killer più amato della TV ed è con grande piacere che constatiamo che per la terza volta consecutiva la serie fa centro. Traguardo importante, considerato che altre serie "top" hanno un po' inciampato alla terza (si veda Lost o Prison Break), e che non delude le aspettative dei fan sempre più numerosi che il nostro Dexter sta raccogliendo attorno a se.
Giunto alla ragguardevole cifra di 36 puntate, il personaggio Dexter continua la sua crescita personale alla ricerca di un' umanità che non gli appartiene. I suoi rapporti interpersonali, con la fidanzata, con i colleghi e con la sorella, sono basati sempre su sentimenti simulati ma si fa sempre più forte in lui il desiderio di trovare qualcuno con cui non doversi nascondere, qualcuno con cui poter essere finalmente se stesso. Discorso già avviato nella seconda stagione con il personaggio di Lila, prosegue qui attraverso l'ambigua amicizia con il vice procuratore Miguel Prado che sembra avere un' idea di giustizia molto simile a quella del nostro.
Citata non a caso in un episodio, la "Teoria del Caos" sembra riassumere perfettamente questa stagione dove le azioni di Dex, le sue scelte fuori dal codice paterno, porteranno a impreviste conseguenza.
Si potrebbe segnalare una mancanza di profondità nelle varie sotto trame o una partenza un po' lenta ma, alla fine, le varie storie sono parzialmente legate alla storyline principale non rallentandone lo svolgimento e la serie trova presto un ritmo che fa letteralmente divorare gli episodi avidamente fino alla fine.
Fine che, tra l'altro, preannuncia interessanti sviluppi per la prossima stagione che già si aspetta con impazienza.

-DVD-
Nessun cofanetto previsto al momento per la terza stagione.

Wednesday, January 07, 2009

"Why are you doing this to us?"

Credo si possa essere, senza risultare troppo buoni o accomodanti, un po' più indulgenti con i registi emergenti, soprattutto con quelli che si cimentano in un genere come l' horror, dove le buone idee scarseggiano e di conseguenza anche i buoni risultati. Al giovane Bryan Bertino, che fino ad allora si era trovato su di un set cinematografico come tecnico elettricista, per un caso fortuito gli viene affidata la regia del film da lui stesso scritto, The Strangers.
La base su cui il regista texano costruisce le fondamenta del suo film sono piuttosto semplici: una giovane coppia, di rientro da una cerimonia di nozze, decide di passare la notte in una isolata casa per le vacanze. Gli evidenti problemi tra i due cedono presto il posto al romanticismo, ma un bussare insistente alla porta interrompe bruscamente le loro effusioni. Sarà solo la prima avvisaglia dell' assedio che la coppia subirà da parte di tre sconosciuti mascherati in maniera inquietante.
L' elemento principale che incontra subito il mio favore, è l'idea di horror che Bertino vuole sviluppare: il Male non è identificabile, non riconoscibile ne riconducibile in un volto (non vedremo mai, per tutto il film, le facce degli assalitori). La violenza non trova giustificazione ne esiste motivo di cercarla ("Perché ci fate questo?" "Perché eravate in casa"), concetto che rimanda al cinema di Haneke. Non esistono spazi sicuri e inviolabili. L'intimità delle quattro mura è nulla, la casa da protezione diventa prigione (espediente già usato sia da Romero che dallo stesso Haneke).
Poco importa poi, ai fini della godibilità del film, gli avvisi iniziali che ci avvertono che gli eventi narrati si basano su fatti realmente accaduti. E neanche snocciolare i dati dell' FBI che riferiscono di un impressionante numero di morti violente ogni anno negli USA. Quello che realmente ci interessa è immergerci nell' atmosfera creata da Bertino che dimostra subito un' ottima padronanza del mezzo e un' incredibile abilità nel trasmettere tensione e paura: suoni improvvisi e violenti fuoricampo, oggetti che si spostano o si infrangono, ombre nelle quali si palesano figure silenziose e minacciose, sono solo alcuni degli elementi che rendono lo spettatore totalmente partecipe della violenza psicologica subita dai protagonisti. Forse, per una sopraggiunta mancanza di ispirazione, Bertino cede alla tentazione e, nella seconda parte del film, si abbandona tristemente ad alcuni classici cliché del genere (comportamenti di una stupidità intollerabile e apparizioni improvvise per spaventare a comando) e ad un finale tristemente inutile.
Considerato però che ci troviamo di fronte a quella che è, a tutti gli effetti, un' opera prima, il risultato finale ottenuto da Bertino non è da sottovalutare e The Strangers si può tranquillamente considerare come un prodotto di genere riuscito nonostante gli evidenti ed evitabili difetti.


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Tuesday, January 06, 2009

Otomo vittima dei Mushi

Il nome Katsuhiro Otomo non può che riportare alla mente quell' opera immensa che è Akira, sia nella sua versione manga ma ancor di più in quella filmica. Questo capolavoro infatti, che a distanza di più di vent' anni continua ad essere ancora moderno, è uno di quei film ai quali si deve lo sdoganamento dei lungometraggi d'animazione giapponesi, dando finalmente a noi occidentali una valida alternativa ai Classici dello Zio Walt. Autore non particolarmente prolifico, il suo penultimo lavoro è il lungometraggio animato Steamboy, mega produzione che purtroppo non è riuscita a raggiungere i livelli di Akira probabilmente a causa di una sceneggiatura che non riusciva a stare al passo con una realizzazione tecnica di prim' ordine. Due anni più tardi, Otomo presenta a Venezia il suo ultimo lavoro, Mushishi, live action tratto dal manga di Yuki Urushibara e sceneggiato a quattro mani dallo stesso Otomo e da Sadayuki Murai. Ambientata nel Giappone medievale, la storia ha per protagonista Ginko, medico errante conosciuto come Bugmaster. I Bugmaster sono esperti di Mushi, creature sovrannaturali che come parassiti albergano nell' organismo ospitante creando infezioni e malattie. Ginko viaggia per tuto il Giappone usando le sue conoscenze per guarire le persone infestate dai Mushi. Nel suo peregrinare sarà costretto ad affrontare un avvenimento traumatico del suo passato strettamente legato ad un Mushi che alberga nel suo corpo sin da quando era bambino. Il film ci introduce in questo mondo come meglio non si potrebbe: la parte iniziale sfrutta a meraviglia la particolare ambientazione storica con tutto il suo carico di misticismo e superstizioni. La regia di Otomo pare particolarmente ispirata e la fotografia (che diventa più "sporca" durante i flashback) mette in risalto le splendide location giapponesi. Nella prima parte assistiamo al lavoro di Ginko mentre aiuta una bambina a liberarsi di un Mushi particolarmente insidioso, intervallato dai suoi ricordi d' infanzia quando, rimasto orfano della madre, si affidò alle cure di una Bugmaster di nome Nui. A quest' introduzione assolutamente affascinante (per i motivi indicati poco sopra) non segue però uno svolgimento e una conclusione che lo siano altrettanto: quando il film si inoltra nella storyline principale la magia si rompe e il film perde in un attimo quell' aura di film d'autore che si stava appena costruendo. La regia di Otomo si fa anonima e la scrittura si dimostra quanto mai approssimativa, mentre sullo schermo si alternano personaggi principali e comprimari piatti e del tutto superflui forse introdotti soltanto per mantenere il più possibile la fedeltà verso l'opera originale, non che questo rappresenti in alcun modo una giustificazione. Mentre il film si adagia stancamente su di un finale aperto ai limiti della comprensibilità, a rimanere impressa è soprattutto la bella colonna sonora che da sola non basta però a salvare Mushishi dal' insufficienza.

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Monday, January 05, 2009

"Something you wouldn't recognize. It's called love"

La Città Incantata è un film ricco di sfaccettature, tante almeno quanti sono i variopinti spiriti che si rigenerano nella stazione termale che fa da teatro alle avventure della giovane Chihiro, costretta a lavorare per la strega Yubaba per poter tornare nel mondo degli umani insieme ai suoi genitori, trasformati in maiali a causa della loro ingordigia. Nel corso della sua filmografia, Hayao Miyazaki ha affrontato ripetutamente tematiche a lui care e ne La Città Incantata se ne possono trovare diverse: innanzi tutto, tra le pieghe della storia e tra i suoi bizzarri personaggi, emerge un forte messaggio ecologista rafforzato da una critica neanche tanto velata verso l' uomo e sulla su ainnata capacità di "rovinare ogni cosa". Miyazaki punta il dito in maniera decisa, ma i posti magici che racconta non sono certo esenti da quelle "falle" che caratterizzano la nostra realtà: se i genitori di Chihiro vengono puniti per essersi ingozzati liberamente del cibo degli spiriti, le creature che si aggirano nelle terme di Yubaba non sono certo meno ingorde e guidate soprattutto da una forte avidità. A cavallo di questi due mondi, il regista giapponese inserisce quello che negli anni ha saputo raccontare meglio, quel mondo che racchiude l'infanzia ed il passaggio dall' adolescenza all' età adulta, momento in cui l'innocenza ancora permette di distinguere il bene dal male. Chihiro rientra perfettamente in questa categoria e il percorso di crescita a cui sarà costretta a sottoporsi per salvare i propri genitori, la porterà da ragazzina insicura a diventare responsabile ed indipendente, conscia di quei valori più alti, come l'importanza nel difendere la propria identità (cosa di cui Yubaba priva i suoi dipendenti rubandogli il nome) o quella ricchezza che nulla ha a che vedere con il denaro e i beni materiali. Chihiro, insomma, diventa progressivamente l'ideale di eroina che Miyazaki predilige nelle sue opere e la rende portatrice di un messaggio d' amore come forza dirompente in grado di abbattere qualsiasi barriera (o di rompere incantesimi). Ma al di la dei profondi significati di cui la pellicola è pregna (che per quanto possa sembrare, non appaiono mai stucchevoli), La Città Incantata è l'ennesima meraviglia visiva che il regista giapponese e lo Studio Ghibli ci regalano. Le animazioni tradizionali, miscelate con quelle 3D, si sposano per dare vita ad un mondo colorato e vivo, abitato da un numero incredibile di creature. Un mondo simile al nostro eppure così diverso, così pulito, dove il respiro si blocca e l' occhio si perde in un oceano gigantesco che sembra non avere confini, attraversato da un treno che sfreccia su dei binari a pelo d'acqua, mentre nuvole di pioggia si addensano nell' orizzonte. Uno dei suoi film più belli giustamente premiato con l' Oscar e l' Orso D' Oro.

Sunday, January 04, 2009

Lyric of the Week + Video / OASIS - DON'T LOOK BACK IN ANGER

**100° POST DELLA RUBRICA!!!**


Slip inside the eye of your mind
Don't you know you might find
A better place to play
You said that you've never been
But all the things that you've seen
They slowly fade away

So I'll start a revolution from my bed
'Cause you said the brains I had went to my head
Step outside, summertimes in bloom
Stand up beside the fireplace
Take that look from off your face
You ain't ever gonna burn my heart out

And so, Sally can wait
She knows it's too late as were walking on by
Her soul slides away
But don't look back in anger
I heard you say

Take me to the place where you go
Where nobody knows
If it's night or day
Please don't put your life in the hands
Of a rock and roll band
Who'll throw it all away

I'm gonna start a revolution from my bed
'Cause you said the brains I had went to my head
Step outside, 'couse summertimes in bloom
Stand up beside the fireplace
Take that look from off your face
'Cause you ain't ever gonna burn my heart out

And so, Sally can wait
She knows it's too late as she's walking on by
My soul slides away
But don't look back in anger
I heard you say

So, Sally can wait
She knows it's too late as were walking on by
Her soul slides away
But don't look back in anger
I heard you say

So, Sally can wait
She knows it's too late as she's walking on by
My soul slides away
But don't look back in anger
Don't look back in anger
I heard you say

At least not today.

Friday, January 02, 2009

Di strenne vi parlerò oggi...

Le feste sono decisamente finite.
Il detto "l' Epifania tutte le feste si porta via" vale solo quando sei più piccolo o quando ancora vai a scuola. Dopo le feste praticamente neanche ti accorgi di averle trascorse vista la rapidità con la quale ti ritrovi a lavoro.
Comunque, non sono qui solo per lamentarmi ma per condividere con voi le cosettine gustose che questo Natale ha portato con se, o meglio, quello che mi è stato gentilmente regalato:



Questo gioiellino di casa Canon e la fotocamera digitale compatta che mi accompagnerà da ora in avanti e che userò spesso per il blog. Rosuen ha voluto farmi questo bellissimo e graditissimo regalo così io non dovrò più chiedere in prestito la sua ^__*


In aggiunta alla fotocamera, Rosuen ha pensato bene di prendermi anche la prima stagione di Dexter. Non ho parole. Davvero ^__^


Mia mamma ha insistito tanto per volermi regalare qualcosa nonostante le ripetessi che non c'era nulla di particolare che mi servisse. Alla centesima richiesta mi son buttato sul volume di oltre 800 pagine, edito da PaniniComics, che raccoglie tutto il Devil di Frank Miller. Prezzo proibitivo. Forse lei si è pentita, io no ^__*


I sempre attenti Deiv & Nick hanno puntato sul sicuro e di certo non hanno sbagliato. Quarta stagione di Lost in attesa della quinta che comincia il 21 gennaio...slurp ^__^


Infine, mio bro, mi ha regalato l'ultimo gigantesco capitolo della saga videoludica dei Bethesda, The Elder Scrolls IV : Oblivion. Non si può che apprezzare.

Su alcune di queste cose tornerò a parlare in seguito, of course ^__^