Tuesday, March 31, 2009

LIKE A DRAGON...il videogames si adatta a Miike o viceversa?

Se nel 2007 c'è ancora qualcuno che può girare film a tematica Yakuza, quello è proprio Takashi Miike. Non perché non ci siano altri registi in grado di farlo ma, più che altro, visto che il geniaccio giapponese è cresciuto artisticamente con questo genere, i produttori è lui che vogliono, il pubblico è lui che si aspetta. Dopo aver sviscerato la materia in ogni suo aspetto, dopo aver reinventato il genere in tutte le salse possibili ed immaginabili, Miike si trova per le mani un nuovo progetto all' apparenza abbastanza classico, basato sulla serie di videogiochi Yakuza, prodotti dalla Sega ed arrivati ormai al terzo capitolo sulla console casalinga della Sony. Ryu ga Gotoku: gekijo-ban (Like a Dragon) non nasconde perciò, già dalle sue "origini" videoludiche, la sua natura commerciale rivolta ad un pubblico di videogiocatori che ben sa cosa si trovano per le mani. La trama, frammentaria e ricca di personaggi che entrano ed escono di scena in pochi secondi, rafforza decisamente questa ipotesi: Ryu, il protagonista, è un ex-Yakuza uscito da poco di prigione che tra una rissa e l'altra con i suoi rivali del passato, vuole aiutare la nipotina Haruka a ritrovare sua madre. Majima, boss che ama infliggere dolore con la sua mazza da baseball, cerca Ryu per saldare dei conti in sospeso. Una coppia di rapinatori assalta una banca della Yakuza solo per scoprire che al suo interno non ci sono più soldi, 16 bilioni di dollari che anche la polizia sta cercando. Due teenager che si improvvisano rapinatori ed un killer coreano. Una colorita rosa di characters insomma (e neanche li ho nominati tutti) ed eventi collaterali che difficilmente si riescono a collocare nella storyline principale creando un po' di confusione, bastano a bocciare questo film? Se dietro la macchina da presa non ci fosse il regista di Osaka, la risposta non potrebbe essere che affermativa: invece bastano le panoramiche aeree di una Tokyo notturna illuminata a giorno, l'inconfondibile stile registico di Miike, l'uso del montaggio nei combattimenti (che si perfezionerà fino ai risultati ottenuti con Crows 0) o i personaggi coreani che vivono quasi emarginati, fanno capire bene che questa non è una trasposizione commerciale come tante. E se non ci fosse il nome di Miike dietro a tutto questo potremmo pensare che il pugno "infuocato" di Ryu, la violenza sempre carica di ironia e la magnifica sequenza della bevanda energetica, siano tutte frutto di idee provenienti direttamente dal videogioco. E non c'è ombra di dubbio che questo sia sicuramente un film poco impegnato, un progetto di ripiego, una commercialata per far da traino al videogioco ecc. ecc. Gli si può dire contro tutto il male del mondo ma resta il fatto che anche in una pellicola così c'è Miike al 100%, in ogni minuto, in ogni inquadratura. Solo per questo bisognerebbe dargli almeno un' occhiata.

Monday, March 30, 2009

L' età dell' ORO


Basteranno quasi quindici anni di fedeltà Marvel per considerarmi "lettore di vecchia data"?
O forse, considerata l'anzianità della grande casa statunitense, mi serve qualche annetto ancora per fregiarmi di tale titolo?
Qualsiasi sia la risposta, è sempre stato mio interesse recuperare le vecchie storie, quelle classiche, andando alla ricerca di arretrati, ristampe ecc. Visto che da qualche anno le raccolte in volumetto stanno prendendo fortunatamente piede, la Marvel Italia ha deciso di dare alle stampe la serie Marvel Gold. Eleganti albi brossurati contenenti saghe complete o cicli narrativi particolarmente datati o comunque di indiscutibile valore artistico visti i nomi coinvolti.
Al momento sono stati pubblicati i volumi che raccolgono lo scontro Vendicatori - Difensori (di Englehart, Buscema e Brown), quello sulla guerra Kree - Skrull (eccezionale team work di Thomas, Neil Adams, Jon e Sal Buscema) e la raccolta del Capitan Bretagna di quel geniaccio di Alan Moore supportato dalle matite di Alan Davis. Al momento in cui scrivo si aspetta il volume dedicato ai Fantastici Quattro contro i Terribili Quattro.
Nel consigliare l'acquisto a chi come me non ha avuto la fortuna di leggere queste storie mi sembra inutile dire che si spera una vita lunga e sempre così interessante per questa collana.

 

Sunday, March 29, 2009

Lyric of the Week + Video / THE LONELY ISLAND - I'M ON A BOAT

**Nuovo singolo, nuovo video. Non ho più aggettivi ^__^**


Aww shit, get your towels ready it's about to go down (shorty, yeah)
Everybody in the place hit the fucking deck (shorty, yeah)
But stay on your motherfucking toes
We running this, let's go

I'm on a boat (I'm on a boat)
I'm on a boat (I'm on a boat)
Everybody look at me 'cause I'm sailing on a boat (sailing on a boat)
I'm on a boat (I'm on a boat)
I'm on a boat
Take a good hard look at the motherfucking boat (boat, yeah)

I'm on a boat motherfucker take a look at me
Straight flowing on a boat on the deep blue sea
Busting five knots, wind whipping out my coat
You can't stop me motherfucker cause I'm on a boat

Take a picture, trick (trick)
I'm on a boat, bitch (bitch)
We drinking Santana champ,
Cause it's so crisp (crisp)
I got my swim trunks
And my flippie-floppies
I'm flipping burgers, you at Kinko's
Straight flipping copies

I'm riding on a dolphin, doing flips and shit
The dolphin's splashing, getting everybody all wet
But this ain't Seaworld, this is real as it gets
I'm on a boat, motherfucker, don't you ever forget

I'm on a boat and
It's going fast and
I got a nautical themed
pashmina afghan
I'm the king of the world
On a boat like Leo
If you're on the shore,
then you're sure not me-oh

Get the fuck up, this boat is REAL!!!

Fuck land, I'm on a boat, motherfucker (motherfucker)
Fuck trees, I climb buoys, motherfucker (motherfucker)
I'm on the deck with my boys, motherfucker (yeah)
This boat engine make noise, motherfucker

Hey ma, if you could see me now (see me now)
Arms spread wide on the starboard bow (starboard bow)
Gonna fly this boat to the moon somehow (moon somehow)
Like Kevin Garnett, anything is possible

Yeah, never thought I'd be on a boat
It's a big blue watery road (yeah)
Poseidon
Look at me, oh (all hands on deck)

Never thought I'd see the day
When a big boat coming my way
Believe me when I say
I fucked a mermaid

I'm on a boat
I'm on a boat
Everybody look at me 'cause I'm sailing on a boat (woaah)
I'm on a boat
I'm on a boat
Take a good hard look at the mothafuckin' boat (sha-sha-shorty, shorty, yeah)

Friday, March 27, 2009

Dicono di Ponyo


Navigando per la grande Rete si possono trovare tantissime recensioni sull' ultimo capolavoro di Miyazaki. Non l'ho mai fatto prima di oggi ma, ho voluto riportare in questo post cinque citazioni, o brevi estratti, tratti da altrettanti post dedicati a Ponyo sulla Scogliera, scritti da diversi cinebloggers: alcuni conosciuti da pochissimo, altri che leggo già da tempo, ed altri ancora amici di WELTALL'S WOR(L)D di vecchia data. Non li sto riportando qui per rafforzare la mia opinione positiva su questo bellissimo film ma, più che altro, per sottolineare uno di quei rari casi in cui tante persone diverse riescono a guardare un film con gli stessi occhi.

E con il suo Ponyo il Mastro Miyazaki accantona quasi del tutto il conflitto e l'inquietudine profonda presente nei suoi ultimi lavori per rappresentare una vera e propria apoteosi elementale, una stupenda fiaba che rappresenta una riappacificazione e insieme un canto di speranza, in cui l'uomo e la natura ricominciano a vivere insieme, si stringono la mano, si abbracciano, si baciano, si amano. - Kekkoz

La struttura narrativa è semplice ed efficacissima, riesce a commuovere proprio per la sua purezza di fondo e per la rappresentazione autentica di valori e sentimenti che sembrano sempre più scomparsi. -
Chimy

Forse per apprezzare a dovere quest’ultimo lavoro del Maestro bisognerebbe riuscire a osservarlo con gli occhi di un bambino e “pensarlo” col cervello di un adulto. -
Honeyboy

Miyazaki è il pifferaio magico delle nostre coscienze, ha il coraggio – e soprattutto il talento – di risciacquare i nostri occhi e il nostro animo nella lievità, e può permettersi di raccontare l’amore incondizionato per l’altro, anche se diverso, sostituendo per quasi due ore l’opacità del nostro mondo con la tavolozza dai colori pastello del suo. -
Noodles

Trasmette serenità l’ opera di questo sublime autore, pronto a risvegliare il bambino che c’ è in noi, grazie ad una meraviglia di colori e ad un estro visionario incontaminato. -
Schegge

(Se qualcuno dei "citati" non vuole che le sue parole compaiano su questo post, me lo scriva che provvederò a toglierle immediatamente ^__^)

Thursday, March 26, 2009

MY BOSS MY HERO

TITOLO ORIGINALE: MY BOSS MY HERO
TITOLO ITALIANO: N.D.
NUMERO EPISODI: 10

-TRAMA-
Sakaki Makio è un giovane Yakuza che aspira a succedere al padre nella guida del clan di famiglia. Il problema è che, ad una straordinaria forza fisica, non corrisponde un' altrettanta forza intellettiva, deficit che porta Makio a mandare all' aria diversi affari. Il padre allora gli pone un ultimatum: tornare a scuola e conseguire il diploma. In caso contrario Makio sarà costretto a rinunciare al titolo di boss in favore del fratello Mikio.

-COMMENTO-
Approfondendo sempre più il discorso serie TV ed esplorando con i miei compagni di visioni, il cinema asiatico, era impossibile non imbattersi prima o poi nei "dorama". Si intende per "dorama", serie TV o film (ma la prima definizione è la più calzante) di nazionalità asiatica dalle tematiche più disparate che arrivano addirittura ad essere trasposizioni di famosi manga o anime.
My Boss My Hero, ad esempio, è ispirato al film coreano omonimo e si compone di dieci episodi della durata di quarantacinque minuti circa ciascuno. La serie si propone in maniera abbastanza originale ed accattivante dividendosi tra atmosfere da film Yakuza e commedia a tema scolastico. Se da una parte, la componente Yakuza della storia è piuttosto soft e sopra le righe (trattandosi di una commedia non sarebbe potuto essere diverso) dall' altra, la parte "scolastica", è forse troppo carica di messaggi che inneggiano all' amicizia, all' amore e alla gioventù che nel finale raggiungono l' apoteosi della stucchevolezza violenta e forzata, sottolineata da fiumi di lacrime che sgorgano ad ogni buona occasione.
Eppure, nonostante questi difettucci (dovuti probabilmente anche al target al quale la serie è rivolta), My Boss My Hero non è affatto male, anzi, mi spingo a dire che sono quasi del tutto soddisfatto da questa mia prima esperienza con i dorama e i motivi sono presto detti: innanzi tutto, come spesso accade in produzioni che abbiano come ambiente la scuola o il periodo scolastico (si vedano ad esempio Linda Linda Linda o La Ragazza che Saltava nel Tempo), le atmosfere sono cariche di nostalgia, come se quello fosse il confine tra la spensieratezza della giovinezza e le responsabilità dell' età adulta. In secondo luogo c'è una componente comica veramente irresistibile, merito soprattutto dell' attore Tomoya Nagase che interpreta il ruolo di Makio. Irresistibile la sua comicità espressa soprattutto grazie ad una esilarante mimica facciale, sia quando veste i panni di un rude Yakuza che quelli dello studente impacciato e un po' tonto.
Indubbiamente una piacevole sorpresa, speriamo solo che i prossimi dorama si mantengano a questo livello.

-DVD-
Esiste un cofanetto Regione 2 giapponese abbastanza caro e per il quale sottotitoli comprensibili non sono confermati. Lo trovate su YesAsia qui.

Wednesday, March 25, 2009

Il ritorno di John Woo in Madre Patria: RED CLIFF

Nel 208 dopo Cristo, la Cina si appresta ad entrare in un periodo di grandi cambiamenti che coincidono con gli ultimi anni della dinastia Han. Il Primo Ministro Cao Cao infatti, fa leva sulla debolezza dell' Imperatore Han convincendolo che per rendere la Cina un unico grande impero, la via migliore sia unificarla conquistando i reami di Xu a ovest, governati da Liu Bei, e quelli di Wu a sud, sotto il dominio di Sun Quan. Liu Bei e il suo uomini, travolti dalla superiorità numerica dell' esercito di Cao Cao, sono costretti a ritirarsi anche per permettere alla propria gente di mettersi in salvo. L' unica speranza per troncare le ambizioni di Cao Cao è rappresentata da un' alleanza con il regno di Wu e spetta allo stratega di Liu Bei, Zhuge Liang, convincere Sun Quan e il suo generale Zhou Yu a prendere parte al conflitto. E mentre gli eserciti si fronteggiano sulla terraferma l' imponente flotta di Cao Cao si dirige verso Red Cliff, la roccaforte del regno di Wu. L'ultimo film di John Woo che ricordo di aver visto è stato l'innocuo e trascurabile Paycheck, tratto da un racconto di Philip K. Dick e interpretato da Ben Affleck e da una Uma Turman che cavalcava il momento d'oro post Kill Bill. Memori dei suoi primi grandissimi film, in tanti si aspettava che il regista cinese si allontanasse da Hollywood per tornare a girare i suoi film in patria. Proprio il 2008 ha segnato questo grande e atteso rientro dove John Woo non ricalca gli "early days" di A Better Tomorrow o The Killer, ma preferisce puntare in alto con un progetto enorme e ambizioso, un colossal storico dal titolo Red Cliff. Gli aggettivi scelti poco sopra non sono stati messi li a caso soprattutto se si considera che per raccontare la storia dei Tre Imperi e della caduta della dinastia Han, si è scelto di dividere il tutto in due film (scelta non criticabile vista la quantità di personaggi e nomi da ricordare) per un totale di più di quattro ore di girato (notizia ormai quasi certa è che la versione nostrana sarà un Bignami dei due film...tristezza) . Per non parlare poi del fatto che Red Cliff è a tutti gli effetti il film più costoso girato in terra cinese. Due aspetti che trovano giustificazione fin dalle primissime immagini ma soprattutto nel cast chiamato ad interpretare i ruoli principali (il grandissimo Tony Leung e Takeshi Kaneshiro, giusto per fare due nomi). Vero è che sono particolarmente affascinato da questi film, dall' accuratezza con cui sono ricostruiti storicamente, ma trovo veramente difficile pensare che non si rimanga colpiti dall' accuratissima messa in scena impreziosita dalla regia di Woo tutt'altro che trascurabile. Si pensi alle due enormi battaglie rappresentate, ma in particolar modo alla seconda, veramente impressionate e curata al dettaglio (non stupisce infatti che nei credits compaia il nome di Corey Yuen). Ma Red Cliff non vive di sole battaglie. Grande spazio infatti è stato riservato ai tanti personaggi e alle loro relazioni politiche e non. Alcuni sono molto definiti, altri appena abbozzati ma non rimangono sullo sfondo perché esprimono tutto il loro carisma sul campo di battaglia (e mi riferisco ai generali dell' esercito di Liu Bei). Detto questo, si prenda il mio entusiasmo con le pinze, visto che mi riservo un giudizio complessivo sull' opera una volta messo le mani sulla seconda ed ultima parte del film. To Be Continued...

Tuesday, March 24, 2009

Ponyo OVVERO l' ultimo (si spera non letteralmente) miracolo di Miyazaki

Non mi sembra il caso di perdere tempo in inutili disquisizioni sul fatto che Ponyo sulla Scogliera sia o meno un capolavoro, anche perché l' ultimo film di Miyazaki è un capolavoro a mio modestissimo parere. Potremmo giusto spendere un paio di minuti cercando di inserire questo film in una ipotetica classifica dei capolavori sfornati dal regista giapponese nella sua carriera cinematografica. Quello che mi preme considerare invece, è il trattamento assurdo che una filmografia così meravigliosa ha subito nel corso degli anni nel nostro Paese e che solo recentemente sembra essere stata presa in seria considerazione dalla sempre più attenta Lucky Red. Eppure, seguendo con attenzione le vicissitudini distributive, non si fa fatica a notare come i film dello Studio Ghibli siano sempre uno o due passi indietro rispetto ai fratelli americani della Pixar o della Dreamworks. Diciamocelo, oggi il pubblico più giovane è parecchio smaliziato dalle meraviglie (a 360°) di film come Wall-E o dall' umorismo "scoreggione" di pellicole come Shrek. Mi chiedo perciò se sia possibile per loro apprezzare appieno un film più classico come Ponyo, dove Miyazaki decide di guardare al passato: abbandona animazioni al computer e torna a fare tutto con la vecchia matita. Si lascia alle spalle tematiche adulte dei suoi ultimi film e si avvicina nuovamente a quello che considero il punto più alto della sua carriera, Totoro. Come nel film del 1988, anche qui Miyazaki si dimostra capace di parlare un linguaggio universale, per bambini ed adulti: la favola si mischia senza attriti alla quotidianità, fantastico e reale convivono nonostante la stupidità dell' uomo. Miyazaki parla dell' amore assoluto, quello che non conosce differenze d'età e razza, quello da difendere ad ogni costo, tirando fuori anche il coraggio e la forza che non si sapeva di avere. Ma i messaggi più importanti sono soprattutto rivolti agli adulti che forse avranno difficoltà nel riconoscersi nelle loro controparti cinematografiche raccontate da Miyazaki, così capaci di ascoltare e di credere nelle meraviglie che affascinano i più piccoli. Un messaggio in cui si mette l'accento sull' importanza dell' infanzia, periodo che si interrompe sempre più precocemente e perciò da salvaguardare il più possibile. Un messaggio che se recepito renderà molto più facile comprendere come ci si possa emozionare di fronte alla storia di un bambino e di un piccolo pesce rosso disposto a rinunciare a tutto e a tutta la sua magia, per diventare umana a stargli vicino. Tecnicamente, nonostante la rinuncia ad utilizzare le più recenti tecnologie, il film è ineccepibile e la ricchezza di particolari (dall' affollatissimo mondo sottomarino, alla cura del minimo dettaglio nelle abitazioni) ha qualcosa di commovente. Il Maestro ha dichiarato che questo sarà l'ultimo film della sua carriera. La stessa cosa l'aveva detta per Princess Mononoke, per La Città Incantata e per Il Castello Errante di Howl. Non possiamo che sperare ci ripensi anche questa volta.

Monday, March 23, 2009

FAR EAST FILM FESTIVAL XI - IL TRAILER

Ora le cose cominciano a farsi serie!!!


(Il trailer avrebbe dovuto anticipare la proiezione di Ponyo in tutte le sale italiane ma nella mia...nada!)

Sunday, March 22, 2009

Lyric of the Week + Video / JAMIE CULLUM - GRAN TORINO


Realign all the stars above my head
Warning signs travel far
I drink instead on my own Oh! how I've known
The battle scars and worn out beds

Gentle now a tender breeze blows
Whispers through a Gran Torino
Whistling another tired song
Engines humm and bitter dreams grow
Heart locked in a Gran Torino
It beats a lonely rhythm all night long

These streets are old they shine
With the things I've known
And breaks through the trees
Their sparkling

Your world is nothing more than all the tiny things you've left behind

So tenderly your story is
Nothing more than what you see
Or what you've done or will become
Standing strong do you belong
In your skin; just wondering

Gentle now a tender breeze blows
Whispers through the Gran Torino
Whistling another tired song
Engines humm and bitter dreams grow
A heart locked in a Gran Torino
It beats a lonely rhythm all night long

May I be so bold and stay
I need someone to hold
That shudders my skin
Their sparkling

Your world is nothing more than all the tiny things you've left behind

So realign all the stars above my head
Warning signs travel far
I drink instead on my own oh how I've known
The battle scars and worn out beds

Gentle now a tender breeze blows
Whispers through the Gran Torino
Whistling another tired song
Engines humm and better dreams grow
Heart locked in a Gran Torino
It beats a lonely rhythm all night long
It beats a lonely rhythm all night long
It beats a lonely rhythm all night lon
g

Friday, March 20, 2009

Presto, molto presto su WELTALL'S WOR(L)D...

Restate sintonizzati!!!




...e vediamo se qualcuno mi sa dire dire i titoli dei film (dai, due su tre sono abbastanza facili ^__*)

Thursday, March 19, 2009

From My Personal Library: ANIME PERDUTE - IL CINEMA DI TAKASHI MIIKE (a cura di Dario Tomasi)

Ne avevo già parlato tanto tempo fa, quando questo blog era ancora giovincello (il post lo trovate qui), ma mi sembra giusto riprendere l'argomento a favore dei lettori più nuovi e di quelli che, giustamente, non hanno ne voglia ne tempo di andarsi a guardare l' "età della pietra" di WELTALL'S WOR(L)D.
Si parla di Takashi Miike o più precisamente di una monografia a lui dedicata edita da Il Castoro. Anime Perdute - Il cinema di Takashi Miike, edizione curata da Dario Tomasi, Stefano Boni e neo(N)eiga, venne presentato nella primavera del 2006 al Museo del Cinema di Torino in occasione di un' approfonditissima retrospettiva a lui dedicata.
Dopo un' introduzione dello stesso Tomasi, il volume si divide in sezioni:
RADICI divisa tra una biografia curata da Mark Schilling e le origini del V-Cinema descritte da Tom Mes.
PERCORSI, che è anche la parte più corposa, dove si parla del cinema di Miike, le influenze e i temi ricorrenti nelle sue pellicole.
TESTIMONIANZE invece raccoglie le parole di Shiota Tokitoshi, critico cinematografico divenuto casualmente attore in diverse pellicole del regista e un' intervista allo stesso Miike.
STRUMENTI è la parte migliore per tutti i Miike fan. Una filmografia completa (fino a Big Bang Love), una guida a tutti i suoi film pubblicati in DVD nel mondo e una bibliografia dove trovare saggi e recensioni.
Ad impreziosire il volume poi, nella parte centrale, si possono trovare alcune fotografie prese dai suoi film più famosi.
Un volume (a quanto ne so almeno) unico per un regista unico. Un must per chi vuole approfondine la conoscenza o per chi volesse avvicinarsi al suo cinema. Non serve aggiungere altro.

Wednesday, March 18, 2009

"Although not born together, we must die together"

La Cina, non paga di essere diventata una delle grandi potenze mondiali, non ci sta a rimanere indietro a nessuno neanche per quel che riguarda il cinema. L'industria cinematografica cinese (e mi riferisco propriamente alla Cina continentale più che a quella honkonghese su cui si avvertono sempre strascichi della colonizzazione inglese) ha dimostrato infatti negli ultimi anni un particolare interesse per un cinema sfarzoso, in grado di muovere ingenti capitali nazionali (senza l'intervento di produttori esteri) e nomi di richiamo, un cinema accattivante in grado di raggiungere in maniera capillare l' enorme potenziale di pubblico cinese. Nel 2007, diretto da Peter Chan, esce nelle sale cinesi questo The Warlords (Tau ming chong), film ad ambientazione storica, che risponde esattamente a queste caratteristiche. Ambientato nel diciannovesimo secolo, periodo di lotte intestine e guerre civili, la pellicola vede come protagonisti tre uomini: un generale, disertore dopo aver visto morire tutti i suoi soldati, e due banditi. Pur di raggiungere uno scopo comune, proteggere la loro gente dalla fame e dalla guerra, i tre diventano fratelli stringendo un patto di sangue e unendosi con un manipolo di uomini all' esercito imperiale. Un patto che li unirà nella battaglia ma anche ad un destino fin troppo tragico. Ad interpretare i tre fratelli sono stati tirati in ballo nomi di tutto rispetto a partire da Jet Li, che comincia ad avere i suoi annetti sulle spalle ma non sembra aver perso agilità o presenza scenica, e a seguire i bravi Andy Lau e Takeshi Kaneshiro. A loro si aggiunge la bella Xu Jinglei che interpreta Lian, unico personaggio femminile nel film, donna divisa tra due dei tre fratelli e di conseguenza fulcro degli sviluppi melodrammatici della vicenda. Sembra infatti che il nuovo grande cinema cinese (come visto anche nel recente An Empress and the Warriors) non possa stare senza quel pizzico di melò che probabilmente tanto piace al pubblico pagante (de gustibus...). Al di la di questo, la messa in scena pomposa, la ricostruzione storica degli ambienti, delle armi e armature, le scene di guerra gigantesche, crude e violente, con lo schermo che si riempie di centinaia e centinaia di comparse (che, sia ben chiaro,  non si muovono certo a caso ma seguono precise ed ordinate coreografie),  non potranno che fare la gioia degli appassionati del genere e non. Insomma, pregi e limiti si bilanciano e se non si pretende troppo da un film dagli intenti soprattutto commerciali, le due ore di visione possono risultare parecchio piacevoli e appaganti.

Tuesday, March 17, 2009

"Quello che tormenta di più un uomo sono gli ordini che non gli sono stati dati"

C'è un vecchio uomo seduto sotto il portico di casa sua. Sta seduto in compagnia del suo cane, una birra in mano ed osserva l'America che cambia intorno a lui. Il volto non nasconde l' impietoso passare del tempo. Gli occhi sono quelli di chi ha conosciuto l'atrocità della guerra di Corea. La mani sono quelle di chi se l'è sporcate di sangue per il suo Paese e per il suo Paese ha continuato a lavorare negli anni a venire in una delle fabbriche simbolo dell' America, la Ford. Ora sta seduto ed osserva il suo Paese imbastardirsi, auto giapponesi prendere il posto di auto Americane, il suo quartiere diventare una comunità cinese. Sta seduto sotto il suo portico e difende la sua proprietà, il suo territorio, quel che resta di americano, ormai in minoranza tra le minoranze, alzando la mano in segno di minaccia mimando una pistola, l'indice è la canna, il pollice il cane. Ma quel vecchio uomo ha anche armi che non hanno bisogno di essere mimate, se serve a tenere lontani gli invasori, se serve a proteggere la sua proprietà, il suo terreno o la Ford Gran Torino che tiene in garage.
Ed è proprio la macchina, che da anche il titolo al film, l' espediente narrativo che mette in moto gli eventi, il cui tentato furto avvicina un vecchio testardo e un po' razzista ai suoi nuovi vicini asiatici. Una vicinanza forzata che distoglie un americano vecchio stampo dalle sue convinzioni, che gli mostra come sia possibile ancora fare ammenda, che la redenzione non è impossibile, che un uomo giunto all' ultimo traguardo come lui può ancora tramandare valori importanti, che non è mai tardi per essere un padre, sia con i proprio figli naturali che con un giovane Hmong o con un prete troppo giovane per aver compreso a fondo la vita e la morte.
Tocca ad un grande vecchio del cinema americano come Clint Eastwood portare sul grande schermo questa pellicola così piena di temi a lui cari e ricorrenti nella sua filmografia. La serie positiva di bellissimi film, ininterrotta da Mystic River, prosegue con questo Gran Torino, una storia di redenzione che tocca il cuore, un racconto di padri e figli di una sincerità disarmante, permeato da atmosfere che riportano alla mente il western classico.
Non spenderò parole per la regia inattaccabile o per la solidità di un film dove nulla sembra fuori posto. Preferisco dedicare un po' di spazio a ciò che da una marcia in più a questa pellicola, l'interpretazione dello stesso Clint che riveste i panni del vecchio Walt Kowalsky. Una recitazione fatta di sguardi, di grugniti, di gesti. Un' espressività unica resa ancora più speciale, e non di certo appannata, dagli anni che porta sulle spalle. Se poi dovesse per davvero essere il suo ultimo ruolo come attore, ce la teniamo stretta il suo Walt e lo conserviamo gelosamente come una delle cose più preziose che ci siano.

Monday, March 16, 2009

Tokyo gronda sangue!

Tokyo Gore Police. Ecco fatto. Punto e passiamo ad altro. No, senza scherzi, cos'altro vuoi scrivere di un film che si intitola Tokyo Gore Police. Già il titolo dice tutto e se ne proponi la visione, nessuno ti potrà dire "ma di che parla?". Abbiamo la location principale identificata nella capitale giapponese. Abbiamo quel "Police" che ci indica i principali protagonisti delle vicende nonché una storia a sfondo poliziesco. E poi c'è "Gore" che non ha bisogno di tante presentazioni ne tanto meno di spiegazioni perché, a tutti gli effetti, rappresenta l'elemento catalizzatore delle attenzioni del pubblico. Gli appassionati del genere non potranno certo rimanere delusi visto che nell' ora e cinquanta di visione si assiste ad ogni tipo di atrocità e di mutilazione fattibile su di un corpo umano. Ma visto che ormai ci siamo, meglio buttare giù due righe sulla storia (eh si, perché anche se può sembrare superflua, Tokyo Gore Police ha anche la sue bella"tramettina" da seguire): in una Tokyo non tanto diversa da quella dei nostri giorni, la polizia è stata privatizzata con lo scopo di migliorarne l'efficienza, soprattutto in un periodo in cui la lotta al crimine è sempre più pericolosa dalla comparsa di strani individui denominati Engeneers. Gli Engeneer hanno nel loro corpo un tumore a forma di chiave che trasforma qualsiasi ferita o mutilazione subiscano, in una micidiale arma. Ruka(Eihi Shiina già protagonista in Audition di Takashi Miike), cresciuta dal capo della polizia dopo che il padre, poliziotto anch'egli, è stato ucciso davanti ai suoi occhi, è la più giovane ed esperta poliziotta cacciatrice di Engeneers. Ma il suo grande talento e la sua devozione al lavoro sono pari solo al profondo trauma lasciatogli dalla morte del genitore. Nonostante la storia riservi anche qualche piacevole e inaspettata sorpresa (un repentino ribaltamento buoni-cattivi) e una cupissima rappresentazione della società giapponese (i fantastici spot televisivi inneggianti al suicidio) il motivo per cui si arriva fino ai titoli di coda è sicuramente per assistere alla fiera dello splatter messa su dal regista Yoshihiro Nishimura. Per non correre il rischio di annoiare ci si è spremuti decisamente le meningi per tirare fuori una serie infinita e impressionante di mutilazioni, per non parlare poi delle mutazioni, fusioni carne-metallo dal sapore vagamente cronenberghiano. Appendici dentate, braccia-motosega, seni che spruzzano acido, un pene proboscidale che spara proiettili, sono solo alcuni degli esempi di quello che potreste trovare decidendo di affrontare la visione di questo Tokyo Gore Police, un film di serie B orgoglioso di esserlo.

Sunday, March 15, 2009

Lyric of the Week + Video / BOB DYLAN - THE TIMES THEY ARE A-CHANGING


Come gather round people
Wherever you roam
And admit that the waters
Around you have grown
And accept it that soon
You'll be drenched to the bone.
If your time to you
Is worth savin'
Then you better start swimmin
Or you'll sink like a stone
For the times they are a-changin.

Come writers and critics
Who prophesize with your pen
And keep your eyes wide
The chance won't come again
And don't speak too soon
For the wheels still in spin
And there's no tellin' who
That it's namin.
For the loser now
Will be later to win
For the times they are a-changin.

Come senators, congressmen
Please heed the call
Don't stand in the doorway
Don't block up the hall
For he that gets hurt
Will be he who has stalled
There's a battle outside
And it is ragin.
It'll soon shake your windows
And rattle your walls
For the times they are a-changin.

Come mothers and fathers
Throughout the land
And dont criticize
What you cant understand
Your sons and your daughters
Are beyond your command
Your old road is
Rapidly agin.
Please get out of the new one
If you cant lend your hand
For the times they are a-changin.

The line it is drawn
The curse it is cast
The slow one now
Will later be fast
As the present now
Will later be past
The order is
Rapidly fadin.
And the first one now
Will later be last
For the times they are a-changin.

**BONUS**

WATCHMEN OPENING CREDITS

CAPOLAVORO!!!


Se non fosse possibile riprodurre il video, lo si può trovare anche qui.

Friday, March 13, 2009

FOR THOSE WHO WANT TO WATCH THE WATCHMEN


A distanza di un paio di giorni do una rilettura al post sul film Watchmen e rimango impressionato dalla sua lunghezza e mi immagino quanti annoiati siano arrivati devastati a fine lettura. Cercherò pertanto in questa sede di riassumere brevemente quello che ho espresso (ma anche no) in quella valanga di parole:

10 MOTIVI SEMI-SERI PER I QUALI WATCHMEN NON E' SOLTANTO UN OTTIMO FILM MA ANCHE UN ADATTAMENTO MOLTO RIUSCITO

1) Snyder non fa il tamarro

2) La sceneggiatura l'ha scritta la voce di Solid Snake

3) I titoli di testa oltre ad essere geniali nel riassumere, in 5 minuti, 40 anni di attività supereroistica, sono proprio un capolavoro

4) Il film dura tre ora ma poteva durarne anche quattro

5) I costumi ridisegnati sono veramente una ficata

6) Spettro di Seta è una gran figa

7) Rorshach è un personaggio enorme

8) Il Comico è un personaggio gigantesco

9) Alla faccia della censura, Dr Manhattan ha spesso il pisello al vento

10) Il film parla del presente pur essendo ambientato nel 1985...e grazie al cielo è ambientato nel 1985!!!


Ma è giusto avvisarvi di quello che vi aspetta soprattutto nei multisala (generalizziamo va, chi se ne frega!!!):

10 MOTIVI PER I QUALI LA PIACEVOLE VISIONE AL CINEMA DI WATCHMEN POTREBBE VENIRE COMPROMESSA (BASATO SU UNA STORIA VERA)

1) C'è sempre uno stronzo che deve sottolineare con un commento tutte le scene

2) C'è sempre uno stronzo che non può fare a meno di usare il cellulare

3) La gente ride se Gufo Notturno fa cilecca con Spettro di Seta

4) La gente ride se Gufo Notturno si tromba spettro di Seta

5) Alla prima inquadratura ravvicinata nella scena di sesso, qualcuno si chiede se il regista ha intenzione di entrare nel culo degli attori

6) La gente ride quando vede il pisello di Dr. Manhattan

7) La gente ride perché il pisello di Dr. Manhattan è blu

8) Dopo due ore e mezza di visione, qualcuno si chiede quando inizia il film

9) Un sonoro "ANCORA?!?" si solleva dalla sala durante il secondo ed ultimo finale del film

10) Le luci si riaccendono e qualcuno si domanda "Ma il succo del film qual'è?"
 

Thursday, March 12, 2009

"I'm an old broken down piece of meat"

Nell' ultimo film di Darren Aronofsky, The Wrestler, ci sono almeno due scene in particolare che delineano il personaggio di Randy "The Ram" Robinson e in qualche modo anche l'attore che lo interpreta, un grandissimo Mikey Rourke.
Nella prima c'è Randy che gioca insieme ad un bambino con un vecchio NES della Nintendo, ad un gioco di lotta ispirato alla sua carriera sportiva. Il bambino non tarda a far notare quanto il gioco sia antiquato rispetto a quelli più moderni come Call of Duty 4. Eppure negli anni '80, epoca d'oro del Wrestling, non era raro trovare titoli ispirati ai grandi campioni del tempo (tendenza seguita ancora oggi ma, a mio avviso, non con la stessa forza), come non stupisce la diffusione della console Nintendo, un vero must in quel decennio. Ma se guardiamo con attenzione all' interno della casa, l'auto o in generale la vita di Ram possiamo notare tanti piccoli particolari che riconducono a quegli anni: le cassette audio analogiche, vecchie VHS, un poster degli AC/DC, l'action figure che ne riproduce le fattezze. Gli anni '80 rivivono intorno a Randy "The Ram" perché per lui il tempo si è fermato vent'anni prima, allo storico incontro con l' Ayatolla che ha segnato la vetta più alta della sua carriera e l'inizio della fine. E si aggrappa a quel momento con tutte le forze, guidato da un ossessione pari solo al desiderio di poter un giorno tornare a brillare tra le stelle più luminose del wrestling.
Nella seconda sequenza vediamo il protagonista ad un incontro con i fan insieme ad altre glorie del passato come lui. Dietro sorrisi, strette di mano, autografi, resta lo sguardo triste prima e terrorizzato poi, di un Ram che si guarda intorno e vede i suoi amici di un tempo come dei vecchi reduci della guerra più dura di tutte, la vita. Anche lui è un reduce e porta sul corpo i segni di mille battaglie. Ogni cicatrice racconta una storia, ogni ferita è un passo verso il collasso di un corpo distrutto dall' abuso di farmaci, palliativo alla vecchiaia, almeno tanto quanto l'elisir di vita eterna lo era per la morte in The Fountain.
Un vecchio reduce degli anni '80 che lentamente scompare per lasciare spazio al suo interprete, un Mikey Rourke la cui vita, il cui stesso corpo, si sovrappongono in maniera impressionante con quella di The Ram. Ed Aronofsky non può che stargli alle spalle, seguirlo costantemente mentre affronta la vita come se fosse un' incontro. L'amore di una figlia o quello per una spogliarellista non tengono lontana la solitudine che lo attanaglia lontano dal ring, lontano dal vero amore che cerca, quello del pubblico che lo acclama. Quel pubblico per il quale è pronto a dare tutto, anche la vita. Ed un attimo prima è sulle corde del ring che si esibisce nel suo colpo migliore ed un attimo dopo è andato.
One, two, three, Ram.

Wednesday, March 11, 2009

"Are you trying to save my soul?"

Nella Los Angels degli anni '20 un ragazzo di nome Roy è ricoverato in ospedale a causa di un brutto incidente. Roy è uno stuntman del cinema e nel tentativo di impressionare la giovane attrice del quale è innamorato, mette in serio pericolo la sua vita. Sofferente nel fisico per le gravi ferite riportate, ma anche nel cuore per l'amore non corrisposto, medita seriamente il suicidio finché un giorno riceve la visita di Alexandria, una piccola degente dell' ospedale di origine persiana, alla quale comincia a raccontare fantastiche storie di avventurieri e banditi mascherati. A molti il nome Tarseim Singh potrebbe non dire proprio nulla e citare il suo film precedente, The Cell, porterebbe alla mente una Jennifer Lopez nei panni della protagonista, piuttosto che il talento visivo del regista. Talento sfortunatamente imbrigliato in un film mal riuscito e non certo per colpa sua. Sei anni più tardi Tarseim torna con un nuovo progetto autoprodotto e perciò, libero da vincoli, il suo approccio visionario al cinema esplode e, come a seguito di un Big Bang, non può che creare qualcosa di semplicemente meraviglioso. Nasce così The Fall, suo secondo lungometraggio e vero metro di paragone, potrei scommetterci, con quello che sarà la sua futura filmografia. Il film di Tarsein è un vulcano che erutta magnifiche suggestioni visive ma anche un sentitissimo omaggio al potere e alle potenzialità delle immagini che il cinema porta con se dalla sua nascita (si veda la sequenza pre-finale della proiezione per farsi un' idea). Girando ai quattro angoli del globo, il regista indiano è stato in grado, coadiuvato dalla bellissima fotografia di Colin Watkinson, di "trasformare" città e luoghi già di per se affascinanti (Roma, Praga, le isole Fiji, la Cina ecc.), in posti incantati fuori dal tempo e dallo spazio, terreno fertile per l' immaginazione di una bambina, fondamenta sulle quali poggiare le avventure fantastiche raccontate da Roy. Sul duo protagonista poi, è giusto spendere qualche parola: lui è Lee Pace che ho avuto modo di apprezzare nel serial Pushing Daisies anche se qui interpreta un personaggio più cupo e sofferente. Ma la vera sorpresa è la piccola Catinca Untaru, cinque anni ma in grado di spaccarti il cuore in due con la sua speciale e unica interpretazione nel ruolo di Alexandria. Naturalmente, di fronte a tanta meraviglia, la distribuzione italiana si è tappata gli occhi è ha fatto finta di niente.

Tuesday, March 10, 2009

"Congress is pushing through some new bill that's gonna outlaw masks. Our days are numbered."

"Diario di Rorshach, 13 Ottobr..." no, non è il modo migliore di iniziare un discorso su Watchmen ma, dopo una rilettura della graphic novel e la visione del film, difficile riemergere dall' universo alternativo creato dal genio di Alan Moore e le matite di Dave Gibbons. Forse è meglio procedere con ordine esaminando gli elementi chiave di questa attesissima trasposizione cinematografica. Cominciamo dal regista.
Zack Snyder. Io stesso mi sono trovato a muovere qualche critica (contenuta) al modo di girare un po' tamarro del regista americano, specialmente per quel che riguarda le sequenze d' azione gonfiate con ralenty e accelerazioni, diventate quasi una firma. Ma se c'è una cosa sulla quale non lo si può attaccare è la mancanza di coraggio, perché di quello ne ha da vendere. La sua carriera dietro la macchina da presa è segnata da progetti, non solo difficili ma potenziali suicidi artistici. Pensiamo al remake di Zombi di Romero o alla discusissima trasposizione della graphic novel di Frank Miller, 300. Entrambe le pellicole non sono completamente riuscite a mio parere, ma mostrano in diversi frangenti le potenzialità del regista. Arrivato al suo terzo film, Snyder si butta su di un' altra graphic novel, anzi, forse LA graphic novel più importante di tutte, la cui trasposizione da molti indicata come impossibile è diventata realtà. Dopo interminabili mesi di attesa, Watchmen rinasce nella sua nuova incarnazione cinematografica diretto da un Zack Snyder forse abbastanza maturo da sapere quando è il caso di piegare la propria personalità registica in favore del materiale imponente che sta alla base del film. Certo, le sequenze di combattimento non mancano (e ci mancherebbe considerato che il target al quale la pellicola è rivolta) e nonostante siano un tantino troppo lunghe e a volte fuori luogo, non disturbano più di tanto proprio perché contenute nei succitati "snyderismi". La regia insomma, seppur con qualche riserva, convince soprattutto quando va alla ricerca della riproduzione al dettaglio delle tavole di Gibbons. Ma è solo un ingranaggio del meccanismo e considerato che è di Watchmen che parliamo, non possiamo che prendere in esame un altro elemento fondamentale: l'adattamento.
From Hell, V per Vendetta, La Leggenda degli Uomini Straordinari, tutte trasposizioni di opere di Alan Moore disconosciute dall' autore stesso. Anche Watchmen non ha potuto contare sull 'apporto del suo creatore, cosa che ha messo in allarme tutti gli estimatori della graphic novel, tutti quelli che l' hanno letta e riletta fino ad impararla a memoria, tutti quelli che ne hanno colto l' importanza, la profondità, la stratificazione narrativa. Le stesse persone che sanno come il dorato universo hollywoodiano se ne stra-sbatta di queste cose e pensi soprattutto a coprire con gli incassi le spese di produzione. Eppure Watchmen è un film che va controcorrente: la sceneggiatura inizialmente scritta da David Hayter (la voce di Solid Snake nella saga videoludica di Metal Gear Solid) e ripresa da Alex Tse è quanto di più fedele ci si potesse immaginare o desiderare. Innanzitutto è ambientata nel corretto contesto storico/sociale (anche se fittizio) fortuna che non è toccata a V per Vendetta ad esempio. Se alcuni dialoghi sono riportati quasi alla lettera, stupisce come anche lo svolgersi degli eventi segua il più fedelmente possibile la graphic novel con delle piccole differenze che conducono a quella che può essere considerata l'unica grande significativa modifica rispetto al testo originale, il finale. Forse quello originale non risultava "cinematograficamente adatto" ad essere rappresentato, perciò si è scelta una via alternativa, secondo me molto coerente comunque. Tutti contenti allora? Non ne sono del tutto convinto. Il fatto di strizzare l'occhio a chi ha una propria venerazione per il fumetto di Moore, porta a sacrificare il pubblico da blockbuster che forse non si aspetta una narrazione così fitta e prolungata (il film dura la bellezza di tre ore), la montagna di gustosi particolari sparsi per tutto il film (si vedano i meravilgiosi titoli di testa dove in cinque minuti si racconta l'ascesa e la caduta degli eroi mascherati) in sfavore dell' azione pura e semplice. Questo non vuol dire che chi non ha letto Watchmen non apprezzerà il film a priori, tutt'altro, anche perché le tematiche di fondo (il ruolo ambiguo del vigilante nella società, la rappresentazione di eroi tutt'altro che "super", lo sguardo impietoso sulla natura umana) sono tutt'altro che banali. Detto questo, vediamo ti tirare un po' le somme.
Watchmen mi ha convinto. Nonostante le aspettative stellari mischiate alla paura di una delusione anche prevedibile, il film di Snyder è un piccolo miracolo nonostante le sue imperfezioni. I centosessanta minuti infatti sono tanti (e necessari), ma sembra che in certi momenti manchi qualcosa, un po' più di respiro. Mi spiego meglio: tutta la prima parte, fino all' arresto e alla carcerazione di Rorshach funziona a meraviglia. Da qui in poi gli eventi si susseguono un po' rapidamente e l' incastrarsi delle scene appare un po' "rigido" e non fluido come prima. Ma magari è stata una mia impressione da prima visione (come l'aver trovato qualche accostamento musicale un po' sopra le righe) o soltanto quella pignoleria che contraddistingue noi lettori di fumetti. Se poi alla sua uscita in home video Snyder ci vuole regalare una versione più lunga e completa, sono pronto anche a ritrattare queste ultime righe. Per il momento quindi pollice in su, tanti complimenti a Snyder ed una domanda: che fine a fatto il sogno americano?
"Il sogno americano? Si è realizzato. Ce l'abbiamo davanti agli occhi in questo momento".

Monday, March 09, 2009

"Non possono arrestarti per omicidio a 13 anni. E' come avere una licenza d' uccidere"

Katayama doveva solo rientrare a casa da lavoro quella notte, ad aspettarlo la moglie e la figlia per festeggiare il suo compleanno. Ma il lavoro l'ha costretto a rimanere in ufficio fino a tardi e sulla via di casa decide di fermarsi in un convenience store sul retro del quale assiste al pestaggio di uno sventurato senzatetto ad opera di alcuni ragazzini. Katayama prende le difese dell' uomo e finisce coinvolto nello scontro che lo vede comunque dare una sonora lezione ai teppistelli. L' intervento della polizia mette fine allo scontro ma i ragazzini vengono rilasciati quasi subito in quanto troppo giovani per essere incriminati. Dal giorno seguente la moglie e la piccola figlia di Katayama cominciano ad essere seguite da un misterioso adolescente che, dalla descrizione sembra essere prorio uno dei teppisti con cui l'uomo ha avuto a che fare. La polizia si trova impossibilitata ad agire e quella che all' inizio era solo una violenza psicologica si trasforma presto in qualcosa di molto più tragico. Chi ama il cinema di Takashi Miike sa che alcune perle del suo cinema vanno cercate tra le "pieghe" della sua filmografia, pieghe divenute sempre più profonde da quando il Nostro si dedica quasi a tempo pieno a grandi progetti di richiamo che sbancano letteralmente i botteghini giapponesi. Taiyo no Kizu (letteralmente "Scars of the Sun" o Sun Scarred nella versione internazionale), uscito nel 2006 a cavallo tra Big Bang Love e Sukiyaki Western Django, rientra sicuramente tra questi film minori messi in ombra dai titoli commercialmente più rilevanti. Come in Kikoku, il rimanere fedele alla sceneggiatura e una messa in scena composta e misurata (senza deviazioni tipicamente "miikiane" per intenderci), non deve far pensare ad un Miike talmente assorbito dai progetti mainstream da dirige queste pellicole come dei compitini di ripiego da svolgere diligentemente, ma più che altro ad un Miike che ha raggiunto una maturità tale da poter gestire film di genere senza rinunciare alla sua personalità. Taiyo no Kizu è un dramma solido, duro, violento, disturbante, la cui ambientazione urbana ed una fotografia livida (che arriva fino al bianco e nero) gettano una cappa soffocante su tutta la vicenda. Uno sguardo impietoso sulla violenza dilagante tra la gioventù giapponese ed una critica ad un sistema giudiziario troppo indulgente verso i crimini commessi dai minorenni, sono i temi portanti di questa storia di giustizia negata che si trasforma in una sanguinosa vendetta. Sho Aikawa, assoluto protagonista (ma anche gli inquietanti giovani interpreti sono da tenere in considerazione), rappresenta il classico "eroe" del cinema di Miike che affronta il suo destino a testa bassa rimanendo invischiato in un vortice di violenza che conduce senza scampo all' autodistruzione.

Sunday, March 08, 2009

Lyric of the Week + Video / OASIS - FALLING DOWN

**TERZO SINGOLO!!!**


The summer sun, it blows my mind
Is falling down on all that I've ever known
Time will kiss the world goodbye
Falling down on all that I've ever known
Is all that I've ever known

A dying scream makes no sound
Calling out to all that I've ever known
Here am I, lost and found
Calling out to all

We live a dying dream
If you know what I mean
All that I've ever known
It's all that I've ever known

Catch the wheel that breaks the butterfly
I cried the rain that fills the ocean wide
I tried to talk with God to no avail
Calling Him in and out of nowhere
Said if You won't save me, please don't waste my time

All that I've ever known
All that I've ever known
It's all that I've ever known

Catch the wheel that breaks the butterfly
I cried the rain that fills the ocean wide
I tried to talk with God to no avail
Calling my name and out of nowhere
Said if You won't save me, please don't waste my time

The summer sun, it blows my mind
It's falling down on all that I've ever known
Time will kiss the world goodbye
Falling down on all that I've ever known
Is all that I've ever known

Saturday, March 07, 2009

A STANLEY...

Un Capodanno di non so più quanti anni fa. Credo molti comunque.
2001 Odissea nello Spazio trasmesso in TV proprio quella notte.
Un film al di là della mia comprensione a quel tempo.
Un film che mi affascinò e mi mise i brividi addosso.
Il film con cui iniziai ad amare Stanley Kubrik ed il suo cinema.
Ed oggi son dieci anni che se n'è andato.

(solo un post per ricordare il Maestro come proposto da kekkoz)

Thursday, March 05, 2009

La radice quadrata di ONG BAK

Gli elefanti sono animali sacri in Tailandia. Creature dall' indole pacifica ma così maestose da essere usate in guerra al fianco degli imperatori. La loro imponente stazza, punto di forza sul campo di battaglia, si contrappone alla debolezza di un addome scoperto dagli attacchi nemici. Per questo esiste da secoli un gruppo di guerrieri, addestrati all' arte del Muhai Thai, il cui compito è la difesa incondizionata degli elefanti. Kham e il padre sono diretti discendenti di quei guerrieri e vivono con gli elefanti nella foresta. Durante una fiera in cui l'elefante più anziano sarebbe stato scelto dal re in persona, il padre di Kham viene aggredito e il vecchio animale rapito con il suo cucciolo Kern. Kham scopre che entrambi gli animali sono stati portati a Sidney in Australia e con l'aiuto di un agente di polizia suo connazionale, trova indizi che lo conducono ai rapitori, una potente famiglia mafiosa tailandese, e ad un ristorante gestito da uno dei suoi esponenti, la pericolosa Madam Rose. Non appare affatto strano che il working title del film datato 2005 di Prachya Pinkaew fosse Ong Bak 2, poi diventato Tom Yum Goong (un tipico piatto tailandese e il nome del ristorante su citato) e The Protector per la versione export. Non appare strano perchè per molti versi, questo film è la copia adeguatamente modificata di Ong Bak. Dove nel primo veniva rubata la testa del Budda, qui a sparire sono due elefanti "sacri". In entrambi i casi il protagonista campagnolo parte per la grande città. Dove in Ong Bak c'era un inseguimento con i tre ruote, in The Protector c'è n'è uno con dei piccoli motoscafi. Anche l' attore Petchtai Wongkamlao, che in Ong Bak interpretava il compaesano del protagonista trasferitosi in città, qui interpreta il poliziotto Mark che fa coppia con Kham nella ricerca degli elefanti. Tanti punti in comune insomma, peccato solo che in The Protector la qualità generale si sia abbassata sensibilmente e non per colpa della sceneggiatura, sempre di una semplicità elementare ed estremamente lineare, ma soprattutto per un montaggio "a cazzo di cane" come lo definirebbe il buon Renè Ferretti, che non si limita a troncare la narrazione in maniera scriteriata ma anche le sequenze d'azione ne risultano compromesse. In due occasioni, che si meritano senza ombra di dubbio la citazione, la regia di Pinkaew si fa ambiziosa: la prima vede il grandissimo Tony Jaa combattere in un vecchio deposito contro una variegata banda di motociclisti, tipi in bicicletta o rollerblade, con la macchina da presa che lo segue senza perderlo di vista un 'attimo dentro e fuori dei vecchi vagoni ferroviari. La seconda, impressionate per durata e organizzazione scenica, è un piano sequenza di circa quattro minuti dove il nostro eroe sale quattro piani di un palazzo (una scalinata circolare che si arrampica sulla parete interna dell' edificio) picchiando come un indemoniato e sfasciando tutto lo sfasciabile. Da applausi. Il resto è tutta una serie di duelli anche abbastanza ridicoli (il fondo lo si tocca nel combattimento con le ossa di elefante) se escludiamo quello con la superstar vietnamita Johnny Nguyen, bravo ed agile almeno quanto il buon Tony Jaa. Alla fine, per quanto si possa apprezzare il genere, è innegabile il passo indietro fatto rispetto ad Ong Bak e la sensazione che si sia sprecata una buona occasione.

Wednesday, March 04, 2009

"We could make a porno"

Mi chiedo se l' ultimo film di Kevin Smith, Zack and Miri Make a Porno, verrà mai distribuito in Italia per la gioia dei numerosi estimatori del regista del New Jersey o se, al solito si dovrà ricorrere al mercato d' importazione o a metodi alternativi. Allo stesso tempo però, mi chiedo se veramente voglio che Zack and Miri Make a Porno trovi una distribuzione anche da noi perché, diciamocelo in tutta sincerità, il rischio è che il film venga fatto passare per una qualsiasi commedia demenziale americana, di quelle che arrivano a valanga nelle nostre sale, magari con un adattamento e un doppiaggio fatti alla leggera. Si rischierebbe di dare al pubblico, qualsiasi sia la loro posizione nei confronti di Kevin Smith, qualcosa che non si aspetta perdendo quella genuina semplicità che sta alla base del cinema del regista di Clerks. Perchè in fondo le sue sono storie semplici di gente semplice, comune. E anche se dal suo amato New Jersey è migrato in Pennsylvania (sarà per questo che non ci sono Jay e Silent Bob?), sono sempre queste le storie che ama raccontare. Zack e Miri in fondo non sono come Dante e Randal di Clerks? Trentenni, non ancora realizzati che tirano avanti a fatica, giorno per giorno, magari trovandosi in imbarazzo nel vedere i loro coetanei già sistemati. Solo che non è semplice per tutti trovare la propria strada. Zack e Miri sono amici da una vita e dividono un appartamento in affitto e tutte le spese che questo comporta. Quando arrivare a fine mese, con tutte le bollette arretrate, diventa impossibile, si trovano costretti a trovare un sistema per raggranellare un po' di soldi e una serie di fortuite coincidenze convince Zack che entrare nello showbiz del porno è sicuramente la scelta migliore. Quello che mi piace del cinema di Kevin Smith è che, se lo priviamo dei suoi dialoghi a ruota libera, taglienti, "coloriti", esilaranti o di tutte quelle scene divenute assolutamente cult (anche qui ce ne sono un paio che saranno ricordate a lungo) rimane comunque qualcosa, un cuore pulsante capace di raccontare una generazione intera attraverso un' amicizia sincera senza impantanarsi in luoghi comuni o, come nel caso di Zack e Miri, un rapporto che supera quel confine per diventare qualcosa di più. Sicuramente il bravo Seth Rogen e la bella Elisabeth Banks (che sorriso meraviglioso ha questa ragazza) fanno la loro parte, così come i "veterani" Jason Mewes e Jeff Anderson, ma trovo sinceramente impossibile non provare emozioni sincere e genuine di fronte a quest' ultima fatica di Smith dove i sentimenti non sono certo lasciati in secondo piano anche perché, in fondo, chi l'ha detto che il porno ha ucciso il romanticismo?

Tuesday, March 03, 2009

Scene da un matrimonio

Il matrimonio della sorella, Rachel, permetta a Kim di allontanarsi dal centro per la riabilitazione e riavvicinarsi alla famiglia. Ma l' euforia della festa e l' eccitazione dei preparativi non riusciranno a tenere legati troppo a lungo i fantasmi di un passato fin troppo recente e doloroso.
Il matrimonio, cerimonia che celebra l' unione, diventa così occasione per ricucire, almeno parzialmente, strappi profondi. Jonathan Demme torna al cinema e porta con se per questo suo Rachel Gettin Married, tutto il bagaglio d'esperienze accumulato con i documentari. Ed eccolo imbracciare la telecamera a spalla e instancabile riprendere dai preparativi, alla cerimonia, dai festeggiamenti, al giorno dopo la festa, ogni momento di quei giorni frenetici. Come se si trattasse per davvero del video documentario sul matrimonio, Demme si prende tutto il tempo a riprendere pranzi, discorsi e preparativi. Ma non perde neanche momenti d' intimità, momenti privati di una famiglia che non può nascondere, neanche in occasione di un giorno di festa, i propri traumi. Demme non ha bisogno di scavare nel passato dei protagonisti, perché quello che riprende, esce fuori spontaneamente come l' infezione in una ferita mai rimarginata, mai disinfettata. I volti di Kim, di Rachel, del padre non possono nascondere alla telecamera quei sentimenti che le parole non esprimono, rabbia, dolore, senso di colpa. Parole che comunque troveranno la loro strada in più di un' occasione.
Tempi dilatati, immagini traballanti, possono scoraggiare chi si avvicina a questa pellicola senza l'interesse, o la voglia, di immergersi nella storia con tutti i suoi risvolti, anche quelli (apparentemente) insignificanti. Eppure mi sembra che si sia davvero poco che non vada nel film di Demme, ed ogni momento raccontato non è fine a se stesso ma utile nel mostrare anche solo uno sguardo, un sorriso dei protagonisti che, da soli, raccontano un tassello di trascorsi familiari solamente accennati.
E se l'insieme funziona è anche merito degli splendidi interpreti ma soprattutto di una bellissima e "stropicciata" Anne Hathaway, probabilmente al suo ruolo migliore.

Monday, March 02, 2009

Achilles and the Tortoise OVVERO Kitano raggiunge la sua "tartaruga"?

Ed ecco Achilles and the Tortoise, terzo e ultimo capitolo della trilogia che Kitano dedica a se stesso al suo difficile rapporto con la settima arte. Per esaminare questa sua ultima fatica però è necessario fare un passo indietro e tenere ben presente il suo film precedente, Glory to the Filmmaker, con il quale Achilles and the Tortoise ha diversi punti in comune. Pur non interpretando se stesso, è impossibile non vedere Kitano, un vero e proprio autodidatta del cinema, dietro al personaggio di Machisu, a sua volta autodidatta nella pittura che insegue il sogno di diventare pittore senza mai raggiungerlo. Achilles and the Tortoise è diviso in capitoli ordinati cronologicamente, ognuno dei quali dedicato ad un periodo della vita di Machisu attraverso i quali è possibile fare un parallelo con il percorso cinematografico del Maestro: Machisu/bambino disegna spinto dalla pura passione e trova ispirazione, nella scelta dei soggetti e dei colori, grazie all' inconsapevolezza tipica della sua età. Lo stesso Kitano arriva a trovarsi dietro la macchina da presa per puro caso e compensa la sua totale inesperienza con la curiosità di chi si trova a provare un nuovo e affascinante giocattolo. Machisu/ragazzo è costretto a confrontarsi con la sua totale mancanza di educazione artistica che lo porta ad imitare i grandi artisti e a perdere l' innocenza che l'aveva guidato fino ad allora. Il Kitano di Glory to the Filmmaker si trova praticamente allo stesso punto. Svuotato delle sue idee da autodidatta, si imbarca in progetti fallimentari che ricalcano lavori fatti da altri (i classici di Ozu o l' horror in stile Nakato o Shimitzu). Machisu/adulto non ha ancora combinato nulla nella vita, non ha un lavoro e non è riuscito ad affermarsi come pittore. La necessita di trovare uno stile suo, che sia anche accettato dei galleristi, lo porta a sfasciare la sua famiglia e ad arrivare a gesti estremi vicini al suicidio. Questa rappresenta anche l' ultima e più recente fase del Kitano regista. Il suicidio torna come tema perché, artisticamente parlando, è quella la direzione che sembra aver preso il cinema di Kitano. Il film nonsense che gira nella seconda parte di Glory to the Filmmaker, in fondo non è poi così diverso dai tentativi di "pittura estrema" di Machisu. A differenza di Glory to the Filmmaker però, qui ritroviamo un Kitano ispirato (almeno in parte) come ai tempi di Kids Return, Hana-bi o Kikujiro. Un Kitano che forse sta ritrovando la sua strada o forse semplicemente consapevole che, come Achille non raggiungerà mai la tartaruga, anche lui sarà sempre un passo indietro, sia dal diventare un cineasta soddisfatto di se, o semplicemente dal trovare la dimensione artistica che lo soddisfi. O forse, come il finale del film potrebbe lasciar supporre, ha semplicemente trovato il giusto compromesso.

Sunday, March 01, 2009

Lyric of the Week + Video / LILY ALLEN - THE FEAR


I want to be rich and I want lots of money
I don’t care about clever I don’t care about funny
I want loads of clothes and fuckloads of diamonds
I heard people die while they are trying to find them

I’ll take my clothes off and it will be shameless
‘Cuz everyone knows that’s how you get famous
I’ll look at the sun and I’ll look in the mirror
I’m on the right track yeah I’m on to a winner

I don’t know what’s right and what’s real anymore
I don’t know how I’m meant to feel anymore
When do you think it will all become clear?
‘Cuz I’m being taken over by The Fear

Life’s about film stars and less about mothers
It’s all about fast cars cussing each other
But it doesn’t matter cause I’m packing plastic
and that’s what makes my life so fucking fantastic

And I am a weapon of massive consumption
and its not my fault it’s how I’m programmed to function
I’ll look at the sun and I’ll look in the mirror
I’m on the right track yeah we're on to a winner

I don’t know what’s right and what’s real anymore
I don’t know how I’m meant to feel anymore
When do you think it will all become clear?
‘Cuz I’m being taken over by The Fear

Forget about guns and forget ammunition
Cause I’m killing them all on my own little mission
Now I’m not a saint but I’m not a sinner
Now everything's cool as long as I’m getting thinner

I don’t know what’s right and what’s real anymore
I don’t know how I’m meant to feel anymore
When do you think it will all become clear?
‘Cause I’m being taken over by fear