Tuesday, May 22, 2012

Far East Film Festival 14 - Day 5

NIGHT JOURNEY
Regia di Kim Soo-yong (Retrospettiva "The Darkest Decade")


Il titolo del film si riferisce alle solitarie passeggiate notturne della protagonista (la stessa Jeong-hie Yun del più recente Poetry), un vagabondare per strade e locali alla ricerca di quel qualcosa che possa aiutarla a scrollarsi di dosso quel senso di insoddisfazione che ha radici lontane (la morte in Vietnam dell' uomo di cui era innamorata) ma che viene solo amplificato da una vita lavorativa e sentimentale insoddisfacente. Non è un caso che il film abbia trovato posto all' interno della retrospettiva dedicata al cinema coreano degli anni '70 così come l' ostruzionismo che trovò per la sua distribuzione in patria, considerato il ritratto della società che emerge dalle sue immagini e dalla quale la protagonista decide di “ribellarsi” emergendo come un eroina.

PUNCH
Regia di Lee Han


E' sembra bello avere conferme su come, la qualità della commedia coreana, non sia inversamente proporzionale agli incassi al botteghino e di come basti davvero poco, un po' di semplicità, coerenza e bei personaggi, per fare dei film che non saranno capolavori ma si guardano e ricordano con piacere. Punch è certamente tra questi perchè risponde egregiamente a quei pochi requisiti di poco sopra. Ed in fondo è la semplice storia di un ragazzo che non si tira mai indietro da una rissa se c'è da difendere la sua famiglia, costantemente protetto, punito e guidato dal suo vicino di casa che è anche uno dei suoi professori del liceo. Ed è proprio con quest' utimo che si crea un grande rapporto quasi paterno, non privo di conflitti, ma che lo porterà a riavvicinarsi alla madre che non ha mai conosciuto. Il tutto poi si svolge in un quartiere popolare con un' alta percentuale di immigrati, dove si vive giorno per giorno e si impara a capire le difficoltà degli altri a dispetto delle proprie. Uno sfondo perfetto dove raccontare il percorso di maturazione di un adolescente e della sua curiosa famiglia allargata.

THE EGOIST
Regia di Hiroki Ryuichi


E' la storia di un amore travagliato tra un piccolo delinquente sommerso dai debiti di gioco e una ballerina di topless bar. La loro relazione troverà enormi ostacoli quando decideranno di tornare nel paese natio di lui dove la loro relazione va a scontrarsi duramente con mentalità molto chiuse e ben poco permissive. Ma è soprattutto la storia di un giovane spiantato e sfigato i cui sentimenti sono certamente sinceri ma questo non gli impedisce di mettere costantemente a repentaglio le cose a lui più importanti con la consapevolezza che c'è sempre qualcuno alle sue spalle disposto a tirarlo fuori dai casini. Hiroki Ryuichi è perfettamente consapevole che il cuore del film sono i suoi personaggi ed è per questo che li tiene sempre al centro della scena perdendo forse un po' di vista il resto, lasciando che il film si dilunghi più del necessario dando la fastidiosa impressione che giri a vuoto, specie prima della parte finale che, insieme a quella iniziale, rappresentano i momenti più riusciti e convincenti della pellicola.

IT GETS BETTER
Regia di Tanwarin Sukkhapist


Un transessuale sulla cinquantina parte alla volta di un piccolo villaggio alla ricerca di qualcosa e finisce per invaghirsi di un giovane del luogo. Un padre spinge suo figlio a diventare monaco dopo aver scoperto le sue inclinazioni sessuali. Un ragazzo torna dall' America per rilevare e rivendere un locale per travestiti lasciatogli in eredità dal padre. Tre storie molto diverse tra loro eppure legate da un comune denominatore, i protagonisti e il rapporto difficile con la loro sessualità, con la difficoltà di accettarsi ed essere accettati da un mondo che definisce attraverso i suoi canoni “diverso” e “sbagliato” tutto ciò che non riesce a capire. Tre storie che divertono e commuovono, che si susseguono con un ottimo ritmo e che finiscono poi per incontrarsi in un finale rivelatore davvero ben orchestrato. Ma quel che il film della Sukkhapist riesce davvero a fare è privare del suo significato il termine “normalità” perchè alla fine solo chi è in grado di vivere bene con se stesso può definirsi davvero normale.

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